Delitto e castigo. Il pubblico ha gremito il teatro premiando l’impegnativa piece.

Delitto e castigo. Il pubblico ha gremito il teatro premiando l’impegnativa piece.

Tosi Siragusa

Delitto e castigo. Il pubblico ha gremito il teatro premiando l’impegnativa piece.

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sabato 02 Febbraio 2019 - 20:22

Fra “pidocchi” umani e portatori di impulsi generosi un buio senza spiragli se non espiazione e conversione che non placano del tutto.

Ardua trasposizione drammatizzata di uno dei più grandi romanzi epico-introspettivi, “Delitto e castigo” di Fedor Dostoevskij, del 1886, che potrebbe così riassumersi “focus sul processo di redenzione di un intellettuale ribelle, che aveva creduto nell’omicidio come autoaffermazione dell’esistenza”. L’opera, attualissima a tutt’oggi, è insuperata nella trattazione della tematica, strettamente correlata alla dimensione della religiosità dell’autore russo. È con una continua vertigine che il pubblico – che ha gremito il teatro, ha potuto seguire l’ossessione, che crea sdoppiamento, del protagonista, “indagato” dal momento immediatamente successivo al doppio delitto dell’usuraia e della sorella, moralmente incolpevole dinanzi alla società, Lizaveta Ivanovna. Oltre ai temi principali – commissione di un atto delittuoso e conseguente emenda – gli altri sono l’amore, inteso quale salvifico, l’individualismo, la fede e il perdono. Il castigo di Raskol’nikov è tremendo, gli genera febbre, scissione e rende gli spettatori osservatori di una quasi sempre ben delineata narrazione, contestualizzata in termini spazio temporali definiti, ma che potrebbe attagliarsi al qui e ora. Ognuno dei personaggi, dalla madre, Pul’cherija Alexandrovna, alla sorella Dunja, al tristo individuo Petr Petrovic Luzin, avvocato, a Sonia, che diviene prostituta per bisogno, conservando intatta la sua grazia, all’usuraia Alena Ivanovna e la sorella Lizaveta, al padre di Sonia, Marmeladov, allo studente equilibrato Razumichin, al turpe Svidrigajlov, al commissario Porfirij Petrovic, tutti sono portatori di un’ideologia, una propria visione del mondo, e l’autore si fa da parte, accettando il loro punto di vista. Appare chiaro come dall’usuraia, all’affittacamere Resslich, che presta soldi ad interesse, all’affarista Cebarov, al furfante Koch, allo squallido Luzin, che va in cerca di processi e querele da intentare, tutti siano schizzi dei creditori dello stesso Dostoevskij. L’adattamento teatrale di Sergio Rubini e Carla Cavalluzzi non sempre è stato reso in maniera lineare. Le interpretazioni, quella febbrile di Luigi Lo Cascio, quella intensa – forse impiegata in troppi ruoli, ivi compreso quello del narratore – di Sergio Rubini, così come quelle di Francesca Pasquini – che ha reso, oltre Sonia, forse un po’ in ombra, anche altre figure di contorno – e di Roberto Salemi – anch’egli prestato a dar voce a più personaggi – sono state tutte lodevoli. Le scene di Gregorio Botta, con rimandi a un piccolo cosmo marginalizzato, sono state rese con pencolanti indumenti e un dondolo appeso, un misero lettuccio, un tavolo da taverna e qualche sedia. I costumi di Antonella Dorsi, sono stati discretamente confacenti, in termini di rimandi epocali. Le musiche, di Giuseppe Vadalà, sovente hanno avuto il suono di un sottobosco umano disturbato e disturbante, divenendo melodiche solo per sottolineare i momenti di quell’amore che redime. Le luci di Luca Barbati e Tommaso Toscano hanno messo ottimamente a punto gli elementi scenici, illuminandoli alla bisogna. In conclusione, questa rappresentazione di gelo e orrore, incubi e rivolte, in un delitto aspramente sociale, con volontà di espiare con umiltà per la forza divina di un amore, in esclusiva per la Sicilia al teatro cittadino, fino a domenica alle 17,30

Un commento

  1. Giuseppe Messina 3 Febbraio 2019 08:58

    Un affettuoso saluto allo spettatore che , in platea alla prima di venerdì, telefonava tranquillamente meritandosi la reprimenda di Raskol’nikov/Lo Cascio.

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