Didon now. Una Didone condottiera si condanna all’annientamento del suo destino, che per Lei ha nome Enea.

Didon now. Una Didone condottiera si condanna all’annientamento del suo destino, che per Lei ha nome Enea.

Tosi Siragusa

Didon now. Una Didone condottiera si condanna all’annientamento del suo destino, che per Lei ha nome Enea.

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sabato 29 Agosto 2020 - 11:53

La prima opera proposta nella rassegna, secondo l’originaria programmazione, avrebbe dovuto essere proprio Didon now ,ma, per eventi metereologici avversi, è stata messa in scena per ultima, il 26 agosto u.s. Essa si è imposta per la felice sintesi operata fra uno script e una sceneggiatura sapienti e innovativi di Lina Prosa – che pone la figura dell’infelice regina in posizione centrale, rivisitandone il mito in chiave femminista ante litteram – e la resa interpretativa ,elementi tutti arricchiti dalle riuscite coreografie, restituendoci un Enea – fantoccio, dai movimenti stereotipati, che segue il solco della epica missione, cui è stato predestinato.

Alla compagnia dell’Arpa si è attestata la produzione dello spettacolo, in collaborazione con Latitudini, Rete Siciliana di Drammaturgia Contemporanea.

Non si pensi a questa protagonista, sapientemente resa da una Elisa Di Dio sempre ben in parte, come la Didone della mitologia, trovandoci invece di fronte un’arcaica regina, che 800 anni prima di Mosè ha guidato il suo popolo fra deserto e mare per fondare Cartagine. Didone è una profuga, pur se illustre, una condottiera fiera, che si cimenta nel viaggio – avventura, sperimenta il potere del comando, che le si confà, trascina il suo popolo dalle terre di Tiro all’Africa, ove si pone a interlocutrice di Iarba, capo dei guerrieri Numidi…..Come da una pelle di bue ha ritagliato il perimetro della nuova città, così riesce a crearla alta, potente….È attenta alla sua gente, costruisce templi e palazzi, sa legiferare e stipulare patti confacenti.

Le musiche di Michele di Leonardo, sincopate, sovente stridenti a sottolineare i momenti preponderanti, hanno ben accompagnato la gestualità acrobatica di Giorgio Cannata, i movimenti corporei di danza ben sincronizzati e vibranti.

Le scene, minimaliste, sono state atte a suggerire i fatti, come per le due cornici in legno, a fungere da specchi, ma con tulle decorativo ai lati, l’albero secco e spoglio al centro dello spazio, per rendere il tragico epilogo, con il rogo ove arderanno le spoglie di Didone, ancora una volta in antitesi con la mitica tradizionale morte, ad opera della spada donatale da Enea. Scenografie e costumi, anch’essi in correlazione con la configurazione dei personaggi, si sono ascritti a Luca Manuli.

Andrea Saitta ha firmato la regia e le coreografie, con le ultime a costituire uno dei due perni della rappresentazione, con il coprotagonista che non ha voce, ma solo nome e corpo, e, muto comprimario, è mero esecutore della volontà divina , inganna la sua coscienza, incarnando per Didone la seduzione maschia, che la induce ad abbandonarsi ad un destino, al quale però non soccombe, morendo con coraggio, di sua sponte attraverso le fiamme ardenti ,per un’istanza vitale che le sgorga dal di dentro.

Pura attrazione il quadro che riconsegna il fugace momento dell’amore fra i due, avvolti da una immensa tela-coperta, decorata, i volti in posizione de “Il bacio” di Gustav Klimt, a fare da intensa suggestione.

Da straordinaria capa, che fugge dalla tirannide, per essere artefice di un nuovo ordine, a amante di Enea, il troiano predestinato, con una profezia da compiere, sempre con la medesima ardente volontà, mai passiva, fino a scegliere di bruciare al fuoco della sua coerenza.

E così questa ierofania della Madre Mediterranea, non è più qui la saga di quell’eroina cantata da Virgilio, Ovidio, Dante – che la colloca fra i lussuriosi nel suo personale Inferno – nell’opera barocca Dido and Enea, di Purcell, e dai contemporanei mille volte rivisitata, simboleggia altro, e non appare sempre in bilico fra il buon senso e il deragliamento delle passioni. Didone rifiuta le proposte di Iarba, è sua pari, ma cederà alle insidie del suo privato, e la ferocia della ragione politica, le titubanze dell’amato e il suo abbandono, faranno il resto.

È altro questa figura femminile da quella narrata nell’epopea virgiliana, sotto la lente deformante di osanna dell’Epos Augusteo.

Il teatro è dunque ancora una volta tornato con la sua sottile magia, e per fortuna ha ricominciato a irrompere nelle nostre serate, pur con le precauzioni imposte in questi tempi di pandemia.

E il Clan Off, che aveva dovuto interrompere la propria interessante stagione 2019/2020 (lasciandoci con l’amaro in bocca per le mise en scene già in programmazione, che pregustavamo e che confidiamo siano riproposte) ha ritrovato una inedita location per questa estate insolita presso lo spazio del Museo Interdisciplinare di Messina, all’uopo allestito per la Rassegna MuMe20Off.

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