Stefano Musolino, ritratto di un magistrato in riva allo Stretto

Stefano Musolino, ritratto di un magistrato in riva allo Stretto

Stefano Musolino, ritratto di un magistrato in riva allo Stretto

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giovedì 25 Gennaio 2018 - 08:01

Da anni impegnato nella lotta contro la ’ndrangheta calabrese, si divide tra il lavoro e l’impegno sociale

Stefano Musolino, classe 1968, è Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, dal 2012 fa parte della Direzione Distrettuale Antimafia. Si laurea presso la facoltà di giurisprudenza di Messina, torna in Calabria e svolge, per un breve periodo, la professione di avvocato. Presto intuisce, però, che per poter restare nella sua terra deve fare qualcosa per cambiare il sistema. La magistratura diventerà il mezzo che lo conduce al suo scopo.

Molti processi, a cui ha preso parte, hanno sferrato duri colpi alle organizzazioni malavitose locali. L’inchiesta “Alta Tensione”, per esempio, ha portato alla luce il nuovo volto della ‘ndrangheta che riesce ad introdursi nelle istituzioni con la pretesa di gestirne il potere. Non solo per interesse economico ma come vero e proprio atto di forza, alcune storiche famiglie tenevano sotto scacco i commercianti di interi quartieri della città.

Con il processo “Gambling”, invece, è stata smantellata un’organizzazione dedita al riciclaggio di denaro attraverso i giochi online. Un giro d’affari di oltre duecentomila euro a settimana, accaparrati sul territorio nazionale, grazie ad apparenti regolari licenze ed autorizzazioni, e trasferiti successivamente presso la sede amministrativa di Malta.

Oggi è impegnato nella maxi-inchiesta “Gotha”, nata dall'unione di cinque indagini, condotte dal 2008, che ha portato all'individuazione di una “cupola” che coinvolge massoni, mafiosi e imprenditori.

Sabato mattina lo incontriamo seduto alla sua scrivania, circondato da fascicoli, sfoggia il sorriso e la tranquillità che lo contraddistinguono. Da uomo eclettico ama la musica, il teatro, lo sport e il mare. Solo in apparenza una persona come tante che però possiede coraggio e determinazione fuori dal comune. Musolino ha scelto di mettersi al servizio della sua terra e per consentire ai suoi concittadini di conquistare la libertà, assente perché manca la legalità.

Il suo auspicio è che la città e l'intera provincia smettano di soccombere a determinate meccanismi, fingendo che tutto va bene, e che trovino la forza di ribellarsi grazie al risveglio delle coscienze, a cui naturalmente segue la rivoluzione morale. Ogni giorno si assiste ad arresti e smantellamenti di cosche ma se i cittadini non comprendono che deve cambiare la mentalità, non serve a nulla.

Reggio Calabria e Messina condividono, da sempre, cultura ed economia ma, in fondo, si conoscono ben poco. Due realtà purtroppo accomunate da un alto tasso di criminalità organizzata che per interesse e strategie opera in maniera completamente differente, magistralmente mascherata per quel che riguarda il territorio calabro.

“Noi reggini – afferma il dott. Musolino – abbiamo vissuto una guerra di mafia paragonabile a quella di Palermo, sia per efferatezza di fatti e violenza che per la percezione pubblica. Credo che tutti quelli della mia generazione abbiano visto un morto ammazzato per strada e siano stati svegliati di notte da una bomba. Questo ha causato un assoggettamento tale da ritenere superfluo qualunque altra attività di tipo intimidatorio. La stessa cosa ha funzionato per la 'ndrangheta, con l'aggravante che tutto questo ha fatto sì che seconde, terze e quarte generazioni di 'ndranghetisti, avendo la disponibilità economica per poter frequentare gli stessi ambienti cittadini e quindi i figli della classe dirigente cittadina, sono riusciti a divenire parte integrante del tessuto sociale. Non c'è dunque, anche rispetto al passato, una chiara distinzione tra chi è all'interno della 'ndrangheta, chi è colluso e chi ne è estraneo. La 'ndrangheta così è diventata fattore d'ordine. Non si ha più la percezione del nemico perché non si ha la consapevolezza di chi siano i nemici e si perde ogni effettiva capacità relazionale. Questo fa sì che nel reggino si sia introiettata in maniera, molto intima profonda, la percezione della capacità di infiltrazione della mafia”.

E' evidente che urge una rivoluzione culturale e sociale, specialmente nel Sud. Ancora oggi siamo ben lontani dal comprendere che accettare determinati meccanismi provoca la morte del tessuto sociale ed impedisce, prima di tutto, alle generazione future di avvertire la necessità del cambiamento. I giovani non si riapproprieranno di ciò che spetta loro di diritto e non conquisteremo mai la libertà che solo la legalità può garantire.

Per questo motivo, Musolino, si rende disponibile a percorsi di educazione civica, impegnandosi a portare il suo contributo direttamente ai giovani, con l’intento di stimolare una presa di coscienza sui valori che non possono essere negoziati.

“Il cambiamento culturale se non muta la situazione di bisogno in cui queste terre vengono abbandonate, non serve a molto. La risposta al bisogno sarà sempre una risposta di illegalità. Di fronte ad uno Stato che non dà risposte la domanda di illegalità sarà l'unica alternativa. I migliori giovani, quelli che non accettano il sistema, vanno via lasciando il posto ai mediocri che, invece, alimentano le dinamiche di questo sistema, attraverso il quale vedono un futuro possibile. Così non può esserci futuro. Quello che mi piace dire ai ragazzi nelle scuole – continua Musolino – è che il cambiamento deve avvenire a partire nelle dalle loro famiglie, devono operare una rivoluzione contro i loro genitori ed i modelli del passato”.

Roberta Busacca

2 commenti

  1. Non chiamatelo eroe, esclusivamente di saper fare il proprio lavoro per lo stipendio che prende.(e che stipendi )
    Mio nonno è stato un eroe (medaglia d’oro ) ucciso dai tedeschi per aver salvato vite umane, senza percepire nemmeno una lira e ovviamente senza pensione mia nonna.

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  2. Non conosco il sig. Musolino a cui va la mia stima per il lavoro che fa. Però la frase “si conoscono ben poco” se la poteva evitare: fa comunque trasfarire un banalissimo e pericolosissimo concetto di “differenza”. Un magistrato questo non lo deve fare.

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