Da dove vengono e da cosa fuggono i migranti accolti a Messina

Da dove vengono e da cosa fuggono i migranti accolti a Messina

Eleonora Corace

Da dove vengono e da cosa fuggono i migranti accolti a Messina

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lunedì 21 Ottobre 2013 - 01:50

Isnieme ad un antropologo dell'Università di Messina, Fabio Fichera, abbiamo ripercorso le situazioni del Corno d'Africa, la regione che comprende Eritrea e Somalia, i due stati da cui provengono la maggiorparte dei richiedenti asilo ospitati a Messina. Un viaggio tra la responsabilità storica dell'occidente dovuta al passato coloniale e la rigidità di un diritto d'asilo che spesso categorizza le persone senza tener conto delle loro storie

Cronache dal “Titanic Africano”. Così Fabrizio Gatti, giornalista d’inchiesta dell’Espresso, ha definito l’Africa, per evocare metaforicamente l’immagine di un continente alla deriva e letteralmente, quella dei suoi abitanti che annegano nel Mediterraneo. Degli ottanta migranti che Messina “ospita” in una palestra, la maggior parte provengono dall’Eritrea e dalla Somalia e per questo motivo, hanno diritto allo status di rifugiati. Il motivo va ricercato nella terra d’origine, facendo una rapida panoramica della macro area geografica in cui si collocano questi stati: il Corno d’Africa, che comprende: Etipia, Eritrea, Somalia e Gibuti. Se lo Gibuti- stato cuscinetto piccolissimo – svolge principalmente attività commerciali legate al porto, la storia degli altri tre stati e molto complessa. Una cosa però è certa: “Il problema di tutti questi stati nasce dal colonialismo”. A spiegarlo in modo tanto laconico è Fabio Fichera, africanista antropologo dell’Università di Messina. Dobbiamo ricordare, innanzitutto, che il Corno d’Africa inizia ad essere strategico con l’apertura del canale di Suez, chi lo controlla, ha in mano il commercio con le Indie, ma andiamo per ordine:

La Somalia: prima del colonialismo era una grande entità sovra etnica, dopo fu divisa in tre parti: britannica, francese e italiana. Questo ha avuto gravi ripercussioni sulla nascita di uno stato Somalo. I protettorati delle potenze Europee nel paese si sono protratti fino agli anni ‘60. Il paese non è stato in grado di creare un entità statale. “Dopo gli anni 90 – spiega Fichera – si sono inseriti all’interno della politica Somala, come in quella di tutta l’Africa centrale, gli interessi legati all’economia di guerra. Si vennero a formare delle entità parastatali composte dai signori della guerra ai quali conviene che il territorio rimanga in conflitto”. Dal 1991 ad oggi ci sono stati diversi tentativi con vari governi di transizione,ma qualsiasi autorità non è mai riuscita ad imporre l’unità nazionale. Attualmente la Somalia è un non-stato. Qualsiasi operazione delle Nazioni Unite o dell’Unione Africana ha sempre fallito.” La Somalia viene da cento anni in cui fare la guerra è stata la principale economia, perché ha avuto alle spalle sovrastrutture sovranazionali che hanno quotidianizzato la guerra e il conflitto”.

“Se in Somalia non esiste lo Stato, in Eritrea si parla di Iper-Stato”. In epoca coloniale era una regione che componeva l’Africa Orientale Italiana, questo dai primi del 900 al 1940, da qui la forte influenza italiana sia a livello architettonico – Asmara, la capitale, viene chiamata “piccola Roma”- che culturale. Fondamentale per la storia di questo paese è l’indipendenza Etiope. Dopo il ritorno dell’imperatore negli anni 40 in Etiopia,l’eritrea restava una regione del paese, non storicamente ma perché era stata creata “ a tavolino” dall’amministrazione italiana. Nel post guerra le Nazione Unite decisero di annettere l’Eritrea all’Etiopia. Così divenne una regione autonoma, ma chiese l’indipendenza. Nel frattempo in Etiopia era stato scacciato l’imperatore ed instaurata una dittatura comunista, la richiesta di indipendenza venne rifiutata e si creò, così, un fronte popolare contro il governo. Infine, ottenne l’indipendenza negli anni 90 in seguito ad un referendum , oltre il 99% degli Eritrei votò per l'indipendenza, che venne dichiarata ufficialmente il 24 maggio 1993. “Uno stato, però, senza apparato statale – fa notare Fichera -Non c’era neppure una forte identità nazionale, dunque, il governo eritreo vuole creare l’identità in opposizione all’Etiopia, sullo schema classico Amico-Nemico di Karl Smith. Inizia così un conflitto che non è mai finito su un confine con l’Etiopia. Non è una guerra per le risorse ma per principio. L’Etiopia fonda la sua identità sulla grandezza storica del vecchio Impero, l’Eritrea esaspera l’identità esaltando il nazionalismo “. Il problema è la militarizzazione della vita e la mancanza di libertà. Dal 95 la popolazione è stata obbligata alla leva militare, che può durare oltre i tre anni. “Tutti devono essere disponibili in qualsiasi momento per prestare servizio come militare, si ritiene che la popolazione subisca le violenze peggiori per questo motivo. Fino a vent’anni fa si scappava dall’Eritrea per la guerra o per il cambio di regime, adesso i giovani scappano soprattutto per il problema della leva forzata”. Una delle motivazioni che rende gli eritrei legittimati a richiedere l’asilo politico è proprio il forte regime dittatoriale, un sistema di controllo capillare – che comprende internet e tutte le forme di comunicazione – che spesso scatena la sua violenza anche sulle famiglie di chi scappa o disobbedisce. “Chi scappa dall’Eritrea scappa per non tornare, perché non può…”. Negli ultimi 13 anni sono scappati 250.000 persone su una popolazione di 5 milioni. Una vera e propria diaspora. Dal 98 è iniziata un’opposizione, quella interna è stata duramente stroncata con reclusioni e torture. Se n’è sviluppata contemporaneamente un’altra tra i cosiddetti eritrei della diaspora. Famoso soprattutto il nucleo francese che a Parigi ha fondato una radio che trasmetteva in Eritrea, in stile radio-Londra, le cui frequenze sono state chiuse di recente dal Regime.

L’Etiopia è un meso-stato, la chiave di lettura di tutto il Corno d’Africa. Attualmente vige in uno stato di tranquillità apparente". Dopo la dittatura di stampo comunista è nata una democratica – anche se fatti come quelli avvenuti nel 2005, in cui esponenti della minoranza Oromo sono stati uccisi in seguito a delle proteste – lascia dei dubbi sulla sua effettività. L’Etiopia ha interesse a mantenere l’instabilità della Regione. A partire dal 2001 si avvicina agli Stati Uniti, per conto dei quali si è intestata la crociata contro le organizzazioni terroristiche che avrebbero basi in Somalia, territorio di cui cerca di avere il controllo. Al momento, comunque, il diritto d’asilo politico spetta a chi proviene da Somalia ed Eritrea.

“Il diritto d’asilo deve essere problematizzato. Non dovremmo mai dimenticare che sono prima di tutto persone, anche quelle che provengono da altri paesi, hanno una storia e sono portatrici di una complessità che non può essere ridotta alle categorie create dagli accordi sovranazionali. Se un nigeriano rispetto a un eritreo viene giudicato per lo stato da cui proviene, non viene trattato come una persona, ma come un grafico, una categoria astratta, un segno su un foglio di via. Il gioco dei diritti è ambiguo, l’accoglienza deve andare oltre il diritto d’asilo. Oggi prevale la logica della libertà di spostamento delle merci,ma non delle persone A Messina, come Dipartimento abbiamo chiesto l’accesso al Pala Nebiolo, ma c’è stato negato. Il mio augurio è che un’amministrazione come quella attuale, possa creare delle pratiche per nuove forme di accoglienza dal basso, magari meno formali, ma decisamente più umane”.

(Eleonora Corace)

Un commento

  1. IO invece credo che dovrebbe essere “problematizzato” anche il diritto di Fabio Fichera a parlare dicendo cose prive di senso contestualizzato.
    Non si può trattare un africanista antropologo come una categoria in base al dipartimento universitario di appartenenza. Credo che un filosofo o un matematico abbiano uguale diritto ad esprimersi specialmente se le fonti del discorso sono notizie riportate da giornali francesi che hanno una competenza maggiore e sono universalmente accessibili a chi ha voglia di accedervi.

    La soluzione c’è: richiudere il canale di Suez

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