Faro, la storia nel nome (puntata 1)

Faro, la storia nel nome (puntata 1)

Vittorio Tumeo

Faro, la storia nel nome (puntata 1)

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martedì 29 Settembre 2020 - 08:12

Dalle origini agli storici del ‘500

Ci siamo mai chiesti quale sia la vera origine del toponimo “Faro”? Questo interrogativo ha costituito motivo di indagine per moltissimi studiosi, già in tempi antichi. Possiamo affermare che un primo vero studio scientifico di carattere etimologico sul tema si deve alla luminosa figura dello Domenico Puzzolo Sigillo (1873 – 1962), che va indagata nel quadro della ricerca in ambito toponomastico, a cui lo studioso ha dedicato grande attenzione trattando, per esempio, del “Camposanto degli inglesi”, di “Scaletta Zanclea”, “Roccaguelfonia” ed altri luoghi ancora. Ma è nel contributo “Tre opportuni chiarimenti di toponomastica messinese” che, pioneristicamente, traccia una cronistoria dettagliata che ha per protagonista il toponimo “Torre Faro” e che si cercherà, nel corso di tre appuntamenti, di ripercorrere per comprenderne il significato più autentico.

Ma andiamo per ordine. In un convegno all’Accademia Peloritana dei Pericolanti lo studioso Gabriele Grasso, nel 1907, afferma che “il Faro giovò a dar nome allo Stretto a cominciare da Erchemperto, e così continuò ad essere chiamato dall’alto Medioevo in poi”. Non a caso Messina è la “città del Faro” presso alcuni cronisti del XIII secolo; “farii” sono i messinesi e divennero persino i soprastanti monti Peloritani. Si potrà ancora parlare, per rievocazione dotta, di Scilla, di Cariddi e di Stretto siculo, date le nuove condizioni politiche, durante la monarchia normanna, angioina ed aragonese.

Tutto ormai ruota attorno alla illustre lampada che era guida e conforto ai marinai nello Stretto. Sicilia e dominii al di là e al di qua del Faro si dirà nel linguaggio politico fino a giungere, con tale nomenclatura, alle varie cancellerie napoletane e alla dominazione borbonica. Il La Corte Cailler in un suo scritto chiama “lingua phari” il braccio di mare di San Raineri, in cui è accertato uno stabilimento di illuminazione notturna sicuramente in epoca normanna e quindi ipoteticamente la denominazione anticipa quella di “Faro” per come la intendiamo oggi. La trama si infittisce ancora di più leggendo un altro studioso, Gamberini, il quale ci fa fare un passo indietro al I sec. Quando scrive che “Svetonio rammenta già il Faro di Messina che ha dato nome allo Stretto” e certamente non si può immaginare che non esistesse un segnale luminoso su Capo Peloro.

Ma il mistero si fa più fitto parafrasando il già citato Erchemperto, che nella Historiola Longobardorum Beneventi degentium usa per primo la forma “Fari” e non “Phari” per indicare, con enorme sorpresa, lo Stretto e non il villaggio Faro! Risulta poi che l’area fu denominata in vario modo dagli scrittori greci; Polibio nel descrivere l’angolo della Sicilia che guarda a settentrione la intende “Pelorìas”, nome che dovrebbe essere accordato con “àkros”, che vuol dire estremità, punta. Nelle opere latine invece è intesa “Pelorus” o “Pelorum”.

Sull’origine e sul significato di questo nome si sono applicate moltitudini di studiosi dei secoli scorsi, per citarne alcuni, Arezzo nel De Situ insulae Siciliae (1537), Maurolico nel Sicanicarum rerum Compendium (1560) o Bonfiglio nell’Historia Siciliana (1604) e molti altri ancora. Al netto di tutte le versioni, l’accezione di “capo” si mantenne costante nel tempo fino a quando assunse la denominazione di Torre Faro giacché una torre era stata edificata e lo stretto aveva preso il nome “Faro”. Da qui, Torre di Faro, Torre dello Stretto.

Possiamo escludere, a contrario, l’esistenza di illuminazione sul capo Peloro sicuramente fino al 1537, anno in cui Claudio Arezzo appunto, pubblica la sua opera, riferendo di una “turris recens”, non ancora illuminata. Si sarebbe provveduto poco più tardi, sul modello di San Raineri, a illuminarla. La prova? Starebbe secondo il Puzzolo Sigillo nelle Deche di Fra Tommaso Fazello che nel 1558 scrive, trattando di capo Peloro: “Sopra questo promontorio a’ nostri tempi è fabbricata una fortezza, fatta per guardia delle bocche, e per far lume a’ marinari”. Il nome “Faro” ha ancora molto da raccontare a proposito della sua storia, come si farà nel prossimo articolo, dove protagonista sarà proprio la torre.

Vittorio Tumeo

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