La violenza inaudita degli emergenti di Barcellona, oggi al confronto col giudice

La violenza inaudita degli emergenti di Barcellona, oggi al confronto col giudice

Alessandra Serio

La violenza inaudita degli emergenti di Barcellona, oggi al confronto col giudice

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martedì 17 Novembre 2015 - 23:31

Scene cruente di sangue e minacce nei racconti dei pentiti che hanno descritto come il gruppo Munafó - Ofria Jr ha cercato di imporre il proprio dominio. Partono stamane gli interrogatori di garanzia.

Interrogatori a partire da oggi per le otto persone coinvolte nel blitz anti mafia Gotha 5 ter. Il Giudice per le
Indagini preliminari Giovanni De Marco si recherà in carcere per il faccia a faccia con gli arrestati, alcuni dei quali già dietro le sbarre a seguito delle precedenti tranche dell’inchiesta.

Accanto ai fatti già scoperti dai Carabinieri della Compagnia di Barcellona e del Reparto Operativo Speciale, l’inchiesta di ieri ha svelato retroscena e responsabili di altri due episodi inquietanti. Nomi e volti di emergenti che hanno tentato di imporre il loro dominio sul territorio, inchiodati definitivamente dalle dichiarazioni dei loro capi, oggi passati alla collaborazione con la giustizia. Ecco quindi che il nuovo provvedimento della magistratura racconta alcuni di quegli episodi che il procuratore capo Guido Lo Forte ha definito ” di inaudita violenza”.

A dare un’idea di quanta violenza fossero capaci gli emergenti del gruppo capeggiato da Alessio Alesci, e quindi a Franco Munafó, è stato il giovane Salvatore Campisi, figlio di Agostino, anche lui una “nuova leva” ma di Terme Vigliatore e Mazzarrà, pentitosi nel 2013. Campisi ha raccontato della spedizione punitiva subita al casello di Barcellona, capeggiata proprio da Giuseppe Ofria.

“..erano le 4.30 di mattina circa, fui raggiunto da una telefonata di Fortunato o Giovanni Barresi, non ricordo chi dei due, mi disse che voleva vedermi e io accettai. Dopo circa una ventina di minuti mi incontrai con Giovanni e Fortunato Barresi, Giuseppe Ofria e Giovanni Isgró, arrivarono a bordo di una Fiat Punto di colore grigio scuro o nera, di proprietà di Giovanni Barresi. Questi soggetti mi dissero che dovevano parlarmi che c’era un problema, io detti la mia disponibilità e ci spostammo di circa 500 metri. Una volta fermateci, appena sceso dalla macchina, fui colpito violentemente alla testa da Isgró Giovanni con un cavo d’acciaio. Stramazzai al suolo e fui nuovamente colpito con un bastone da Giovanni Barresi (…) Ofria rimase in auto. I miei aggressori mi colpirono violentemente ma non mi dissero nulla e se ne andarono”.

Il perché dell’aggressione Campisi lo scoprirà successivamente: “Foti Salvatore mi disse che questi soggetti mi ritenevano responsabile del fatto che la sorella di Igró Giovanni, quella sera in cui noi tutti eravamo andati in discoteca a Messina, si era sentita male ed era stata ricoverata per un’overdose di cocaina”. Campisi precisa anche che Ofria, temendo la vendetta del mazzaroto, si era armato procurandosi una pistola calibro 7,65 e 10 proiettili. Quella che poteva essere l’inizio di una faida sanguinosa fu evitata dall’intervento dei maggiorenti del clan, che composero la contesa evitando ulteriore spargimento di sangue.

È ancora Campisi che spiega agli investigatori la violenza del gruppo di Franco Munafó, racconta di un altro episodio che descrive la caratura dello stesso capo, oggi pentito anche lui. Campisi ha così raccontato, in un verbale rilasciato alla fine del 2013, di un fatto risalente al 2011. In quel periodo Barcellona era stata scossa da una serie di attentati ai danni dei commercianti, intimiditi da una sede di continue raffiche di pistola e vuole contro le vetrine dei negozi. Tra le vittime anche un mafioso della vecchia guardia, oggi titolare di un esercizio commerciale preso di mira.

Proprio l’aver colpito uno di quelli che aveva fatto la guerra di mafia degli anni ’80 e ’90 aveva scatenato la reazione di Munafó, che insieme a Domenico Chiofalo convocó i fratelli Abbate, ritenuti responsabili delle schioppettate contro i cristalli: “…nel corso della discussione colpirono all’improvviso con un pezzo di ferro Carmelo Abate, al quale spaccarono la testa. Fu ricoverato in ospedale e Munafó e Chiofalo si recarono in ospedale, gli mostrarono una pistola e lo minacciarono dicendo: la prossima volta la usiamo. Carmelo Abbate non si lasciò impressionare più di tanto e rispose che se avessero voluto provarci avrebbero dovuto usarla in quel momento”.

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