"The silent chaos", un documentario di Antonio Spanò.

“The silent chaos”, un documentario di Antonio Spanò.

Lavinia Consolato

“The silent chaos”, un documentario di Antonio Spanò.

mercoledì 06 Agosto 2014 - 10:30

In un paese devastato dalla guerra civile dal 1996, altre silenziose guerre si combattono, da genesi più remote. Nel Congo, al centro della culla della civiltà, c'è unppiccolo mondo che ora ha avuto modo di aprirsi agli occidentali.

Il Congo è come la Torre di Babele: si parla il congolese e il francese, che coesistono fra loro; poi c’è la lingua dei segni: chi la “parla” è considerato posseduto dagli spiriti maligni, e di conseguenza emarginato, odiato e relegato a ruoli umili, subendo ogni tipo di discriminazione.
Come spiega la voce narrante di questo particolarissimo documentario del 2012, diretto da Antonio Spanò, l’uomo africano vive in base alle relazioni, se queste mancano, c’è solo morte, e l’isolamento è come l’inferno. Odiare ed essere odiati, è l’eterno contrasto: ciò che viene percepito come estraneo, ciò con cui non ci si può relazionare, spaventa; in Congo i sordomuti, e i nemici in generale, si allontanano con armi magiche, perché non sono visti come umani, di conseguenza chi usa la magia è sciolto dai vincoli della morale. E i sordomuti, a loro volta, sono costretti quasi ad odiare i “normali”: sono stati eletti a capro espiatorio della società (la stessa sorte, come è noto, hanno gli albini, che, certo, devono fare più impressione nelle popolazioni africane), specialmente nel clima di guerra civile che dura da 14 anni.  
Tra i combattenti della resistenza Mai-mai, un uomo intervistato ha spiegato la loro cultura a noi così inconcepibile: fino a pochi decenni fa i Mai-mai non combattevano con le armi da fuoco, ma solo con lance e coltelli dalla punta avvelenata, poi un giorno Dio mandò loro i fucili; ma la loro arma più potente è la magia: con dei rituali di iniziazione i guerrieri diventano invulnerabili, non provano più paura; di chi muore, dicono che aveva infranto il comandamento di “avanzare sempre”. Fra di loro ci sono molti bambini, tutti portano fucili e cinturoni coi proiettili, uno di loro ha una maglietta con il volto del presidente Obama.
Un altro uomo, al contrario, si sfoga così: “A scuola ci raccontano che l’Africa è la culla della civiltà, e qui in Congo abbiamo tutte le ricchezze possibili: oro e diamanti… I paesi ricchi che ci forniscono le armi, usano le nostre discordie per poterci sfruttare”;  quindi si comprende che per l’Africa la storia non cambia, mai; cambiano i dettagli, ma il resto rimane invariato.
Quando Spanò è andato in Congo, a Butembo, si è confrontato con uomini che non volevano raccontare la propria guerra a degli occidentali; poi per caso ha trovato la scuola dei sordomuti ed ha scoperto questo piccolo mondo: proprio i sordomuti erano quelli più aperti, più comunicativi e soprattutto grati, felici di potersi aprire, ancor di più perché si trattava di stranieri. Ne sono uscite storie drammatiche, commoventi, che ad un occidentale danno molto da pensare.
Spanò è stato colpito molto profondamente da questa terra: attendiamo con ansia il suo prossimo documentario sul Congo, che tratterà di una lega femminile di contadine che lottano per emanciparsi dalla società maschilista.
Lavinia Consolato

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