Messina. Liberamente tratto dal capolavoro verghiano, adattamento di Mariapia Rizzo e Domenico Cucinotta. Buona prova attoriale
MESSINA – Il 17 dicembre, in Sala grande, dopo la matinèe precedente,del 16, riservata agli istituti scolastici, per la stagione in corso e la Rassegna “naufragar m’e’ dolce in questo mare”, si è tenuta la performance “I Malavoglia”, liberamente tratta dal capolavoro verghiano, con adattamento di Mariapia Rizzo e Domenico Cucinotta,con quest’ultimo a dirigere egregiamente gli interpreti Orazio Berenato, Marina Cacciola, Mariaelide Colicchia, Davide Colnaghi e la stessa M. Rizzo.
L’epoca di riferimento è stata sempre quella di fine 800, così come l’ambientazione ha rimandato ad Acitrezza, borgo marinaro. La famiglia Toscano, che oramai è comunemente identificata dal soprannome “I Malavoglia”, è impegnata a liberarsi dal gioco delle ristrettezze economiche, ma una sfortunata congerie di eventi innesca una spirale infernale, che pare sopraffare il nucleo familiare. Bastianazzo muore in mare, a causa di una tempesta, la Provvidenza è in condizioni assai malandate e non ci sono denari per ripararla e per di più il carico di lupini, preso a credito dall’usuraio locale, va incontro alla perdita materiale. Al triste scenario si assomma la morte di Luca, su una nave da guerra e la ulteriore tempesta, ove anche padron N’Toni si ferisce e che causa la vendita dell’imbarcazione. Le vicende annientano la famiglia, esasperandone i conflitti generazionali, in particolare fra padron N’Tony e il nipote che porta il suo nome e si ribella ad una condizione soffocante, ove qualunque sacrificio non genera miglioramenti, poiché novelle contingenze creano continuamente ulteriori criticità.
In realtà l’intero paesino è protagonista (coralmente) di ogni accadimento, che viene commentato passando di bocca in bocca e generando il canovaccio dell’intera narrazione.
Ritorna anche più in generale lo scontro fra gli anziani, che esortano alla cautela e i giovani, che ai loro occhi sarebbero colpevoli di quella che i greci chiamavano ubris, per avere voluto forzare, anzi sfidare, con tracotanza il destino.
Non c’è alcun esito consolatorio nella rappresentazione, come non si riscontrava nel romanzo, ma gli interrogativi sottesi si impongono ai fruitori e necessitano riflessioni: la sorte va ritenuta immodificabile o si deve fronteggiare per tentare di cambiarne il corso? Abbandonare la propria terra e le radici frapponendo ad esse la voglia di riscatto, può consentire di mutare davvero il corso della storia e se ciò è corretto come farlo recepire a coloro in età più avanzata?
La Sicilia sembra per gli abitanti della “Casa del nespolo” evocare una condizione di condanna, e
mostra nella “piece” tutta la sua ambivalenza, di elemento accogliente e materno, ma anche di forza terribile, capace in un attimo di scardinare “lo status quo”.
Ciò detto, come nel celebre testo di Verga, parrebbe che ogni anelito di emancipazione dei personaggi, riceva frustrazione”tout court”, e volere a tutti i costi migliorare la propria condizione, in una tragica fatalità, è solo causa di violenza che scardina vieppiù ed è capace solo di produrre altre negatività.
La natura è protagonista e inanella disgrazie, mentre la evidenziata coralità delle figure non assume rilievo sostanziale nella storia, rimanendo ciascuna di esse solo quale simulacro privo di identità, e ciò riporta i fatti scatenati dalle forze naturali in una vera prospettiva centrale, con la loro potenza ingombrante, che rende le povere imbarcazioni elementi in balia, ove la morte può imperare, producendo rinnovato strazio. Buona prova attoriale, con taluni,oltre ad impersonare i personaggi principali,anche in altro ruolo,per dare parola anche alle anime ataviche e alla folla paesana. Le tre interpreti femminili tutte in abbagliante bianco, così come uno dei protagonisti maschili, mentre la figura focale di N’Tony -che, già fuggitivo, nell’incipit ritorna sconfitto e innesca la rievocazione degli eventi intercorsi-resa da Davide Colnaghi, è stata abbigliata diversamente, a sottolineare proprio la sua non aderenza al comune modo di essere. Alcuni momenti musicali (alla chitarra)e melodie canore sicule hanno impreziosito la “mise en scene”, della quale si loda altresì la consona ambientazione, raffigurata da sedie bianche nella corte esterna l’abitazione, datate, a rappresentare quella l’antica abitudine di vivere gli spazi, così come il richiamo visivo alla Provvidenza. Tale allestimento scenico è sembrato ben curato da Domenico Cucinotta e Maria Pia Rizzo. Lo spettacolo è stato molto applaudito ed ha avuto replica il giorno 18 e andrà in scena il 19 dicembre, sempre in serale.
Un autentico microcosmo di voci comunitarie, reso in un approccio dinamico, che è riuscito a preservare la struggente bellezza imperitura dello script verista verghiano, dove una oscura fatalità è dominante, quell’imponderabile che in terra di Sicilia è ancestralmente ingombrante sulle sorti dei popolani.
