Il vento del Dragone

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Giuseppe Ruggeri

Il vento del Dragone

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martedì 25 Febbraio 2020 - 10:50

Una riflessione sul pericoloso vento di "panico" che si sta diffondendo a Messina per il coronavirus

Premesso che l’allarme da corona-virus è – e resta – legittimo per l’imprevedibile evoluzione del comportamento di un microrganismo ancora in gran parte poco conosciuto, non è certamente proficuo né ragionevole lasciarsi andare al panico cieco e sconsiderato. Dalle colline di Antonello, spazzate di norma dallo scirocco, rischia di spirare un ben più insidioso vento per arginare il quale è necessario che si attivi una ragione in grado di diradare i mostri che la sua notte, fin dall’origine dei tempi, continua a ingenerare.

Soffia un vento pericoloso

A Messina, città rinomata per i suoi venti – narra l’Aedo che fu a poche miglia dalla Falce che gli incauti marinai di Odisseo dischiusero la dimora di Eolo liberando tutta la sua furia nei flutti dello Stretto – soffia oggi un vento ben più periglioso dell’odioso scirocco che ne è da sempre cifra costante. In luogo della lissa, che dello scirocco è strascico penoso con correlate turbe dell’attenzione e dell’operosità zanclea, i messinesi rischiano di essere messi fuori gioco dal panico indotto dalle gesta del misterioso microrganismo che da settimane si aggira indisturbato per l’Europa.

Il Covid 2019

Criptico già dal nome che gli hanno affibbiato i virologi, il Covid 2019 è stato individuato da alcuni nei tratti inconfondibili del gestore di un negozio di chincaglierie cinesi; altri, di vista più buona, giurano di averlo sorpreso nelle minuscole goccioline emesse dallo starnuto del vicino di tram; altri ancora – e qui finisco per non tediare – negli occhi stralunati di un vecchietto in preda a un violento accesso di tosse.

Il vento del Dragone

Cosa fare per difendersi dall’impeto squassante del vento del Dragone? I teleschermi e i social ci propinano immagini raffiguranti soggetti che indossano in permanenza mascherine da volto mentre fioccano le raccomandazioni di lavarsi sempre le mani dopo ogni contatto. Strano che ancora non si sia pensato a uscire direttamente con guanti sterili e abituarsi a svolgere gli atti della vita senza svestirsene, ma anche questa è una misura che gli utili tavoli tecnici governativi provvederanno senz’altro ad aggiungere al già robusto corredo di precauzioni del caso. Per fronteggiare l’emergenza mondiale della pandemia del ventunesimo secolo, quella che più di ogni altra ci avvicina all’Apocalisse: la pandemia della sindrome da corona-virus.

Cosa è il corona virus

Ma cos’è il corona-virus? Dietro la regale denominazione, si cela un microrganismo che ha fatto la sua comparsa nel 1960 ed è stato responsabile, in epoche recenti, di malattie come la SARS e la MERS (nel 2003 e 2015 rispettivamente). Epidemie, queste ultime, che dopo l’iniziale effetto da “day-after” sono andate di grado in grado scemando lasciando sul campo qualche centinaio di morti, del tutto compatibili con le sottostanti condizioni morbose delle vittime (immunodepressioni, neoplasie, cardiopatie e pneumopatie

Il panico e la realtà

Ancora una volta, dovrebbe venirci in soccorso la memoria. Il metodo, ormai più che rodato, è quello dell’allarme martellante, del tutto incurante del panico che procura e soprattutto fortemente ancorato all’informazione mass-mediale. Ai tempi della SARS le testate, erano alla ricerca, come oggi, del cosiddetto “paziente-zero” – l’untore per eccellenza – identificato rigorosamente in un soggetto dagli inconfondibili tratti fisionomici orientali. “Miliardi di individui” si decise avrebbe potuto uccidere la famigerata SARS emblematizzata da immagini di cinesi in aeroporto bardati con mascherine. Il risultato? Ottomila contagi in tutto il mondo con un bilancio di ottocento morti, ovvero il dieci per cento della popolazione colpita.

A guadagnarci, com’è d’obbligo in epoca di capitale, le grandi aziende farmaceutiche produttrici di costosi – quanto inutili – preparati antivirali. Donald Rumsfeld, allora segretario alla difesa USA, era stato (guarda caso) il capo della Gilead Science, la società che brevettò il Tamiflu prima di cederlo alla Roche non senza ricavarne sostanziose royalties.

I numeri del Coronavirus

Ma vogliamo ragionare, cifre alla mano, sugli effetti del nuovo “raid” di Sua Maestà Covid 2019? I dati dell’Agenzia Italia (tratti dal sito di monitoraggio del Center for System Science and Engineering della Johns Hopkins University) riferiscono di 2.626 morti (di cui più di 2.500 in Cina) su un complessivo numero di contagiati di 79.524 (di cui 77.150 sempre in Cina) e 25.160 i guariti. In Italia, 219 i casi confermati di cui 167 in Lombardia, 27 in Veneto, 18 in Emilia Romagna, 4 in Piemonte e 3 nel Lazio. 7 vittime, una guarigione (il ricercatore romano dell’Istituto Spallanzani di Milano).L’Italia è al terzo posto per diffusione del virus dopo la Cina e la Corea che conta 833 soggetti contagiati. Al quarto posto il Giappone con 154 casi di contagio.

Fatte le debite proporzioni, ci troviamo dunque di fronte a una virosi con un indice di letalità che si aggira intorno al 2-3 per cento. Da segnalare che, anche stavolta, i decessi interessano categorie affette da quadri pluripatologici gravi e imponenti.

Questo significa che non dovevano essere adottate le prescritte misure cautelative? Tutt’altro, anzitutto perché la prudenza, in casi di pandemia ancorché d’irrisoria portata come la presente, deve sempre governare l’operato delle istituzioni preposte. I virus sono microrganismi adattabili e soprattutto estremamente mutanti e dal comportamento imprevedibile, e di certo il Covid-2019 non fa eccezione. L’opportunità di misure cautelative, tuttavia, va inquadrata in un’ottica diversa da quella comunemente assunta a suo sostegno, che è quella del “proteggersi” dal contagio. E’ necessario piuttosto “proteggere” dal contagio i soggetti fragili, più predisposti a sviluppare complicanze respiratorie le cui conseguenze possono anche essere esiziali. All’esclusiva tutela di questi soggetti è mirato l’uso dei DPI e l’adozione delle norme igieniche predisposte dall’OMS e dagli organismi sanitari nazionali.

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