La bellezza disturbante delle umane tenebre nel viaggio a termine della notte

La bellezza disturbante delle umane tenebre nel viaggio a termine della notte

Tosi Siragusa

La bellezza disturbante delle umane tenebre nel viaggio a termine della notte

sabato 31 Luglio 2021 - 11:47

“Liberamente ispirato a La Maschera della morte rossa”, dal gotico racconto di Edgar Allan Poe, il progetto di “Nutrimenti Terreni”, piece di tematica originale e attuale, scritto e diretto da Simone Corso per la strepitosa rassegna “Il Cortile Teatro Festival, sotto la direzione artistica di Roberto Zorn Bonaventura.

Suggestiva, evocativa, viva rappresentazione, in scena presso il Cortile del Palazzo Calapaj- D’Alcontres, avvince e non dà tregua, nella trasposizione dei giorni tormentati del Principe Prospero, piegato dalla natura ostile e incapace di sollevare il capo e apprezzare i colori della vita…Quella terra è carminia, oramai brulla, in seno a un universo ingovernato e giammai più governabile.

I turbamenti del regale personaggio, invero, traggono genesi più che dalla reale virulenza del morbo pestilenziale , dai propri contorti turbamenti e slavine interiori, che gli intimano infine, pur di percorrere la strada di un improbabile salvifico vaccino, di giungere al sacrificio di una esistenza….Il governante, come i governati, è egli stesso vittima di un sistema di regole calate dall’alto (chè sempre qualcuno è più in alto), che non riconosce, ma alle quali si convince di dover sottostare.

La “mise en espace”, così, di quel mondo alla fine di se stesso, prova a distribuirsi in modalità tripartita, oltre che nella resa del convulso protagonista, magistralmente interpretato da Carmelo Crisafulli, quasi una bianca macchia (a simboleggiare quell’assenza di vita postulata), sulle vocalità sonore, fuori campo, di Giuditta Pascucci, mai presente dunque sulla scena, ma parimenti ben tratteggiata nei panni di tal Diana,e nei termini, volutamente indefiniti, di femminile ammennicolo del protagonista, che non giunge né assurge mai a dignità di compagna di vita, in grado, cioè, di interagire, e se del caso contribuire a determinare quelle scelte, sì esistenziali ma in uno anche incidenti sulla collettività, di Prospero; terza dimensione, quella di un indistinto speziale, alter ego del Principe, che interviene nella rappresentazione a mezzo di un dialogo, forse troppo spinto sulle corde celebrali, per bocca dello stesso C. Crisafulli, e che rimarrà imbrigliato e troverà soccombenza a causa dei suoi stessi intrugli medicali, confezionati per un malsano bisogno di obbedienza all’Autorità, costi quel che costi, per il desiderio del Principe di ricostruire, previa distruzione del mondo avito.

Un po’ Caligola, a mio avviso, il Prospero delineato, vicino all’imperatore romano per le dissennate scelte, originate dall’infelicità interna che lo consuma, mentre, intorno, quell’universo che dovrebbe regolare, somiglia sempre più a un puzzle non più ricomponibile.

Se qualche disarmonia si è colta, non si è riusciti a distinguer bene quanto non sia stata voluta, proprio a ratifica del senso di impotenza e immane confusione, individuale e collettiva, al cospetto di un mondo che procede a grandi passi verso l’abisso.

Lo script è germinato dall’interazione artistica fra il prolifico, ormai collaudato autore, il messinese Simone Corso, e Jovana Malinaric, collaborazione che viene palesata attraverso la scelta registica dello stesso Corso di servirsi della tecnologia, rendendo visibile sullo schermo le mail intercorse fra loro e fra gli interpreti, durante il lock-down 2020, che hanno dato forma concreta ad un lontano propedeutico lavoro preparatorio dell’artista.

Per il resto, la musica, nell’incipit altissima, e quasi sempre ,comunque, in funzione disturbante, ha approntato ulteriore ausilio nel restituirci appieno il travaglio di un piccolo microcosmo -in rappresentazione dell’interezza- giunto oramai al capolinea, fra iene e parassiti di quella corte dei miracoli senza luce, mentre le parole di De Andrè, e quelle di Yeats, a mezzo di un emblematico brocardo riportato sullo schermo, ammoniscono severamente sul nero sipario oramai calato su ogni slancio vitale, sull’incessante energetico flusso che ha determinato l’Universo fin qui noto, su quell’ordine naturale precostituito, che è infine anche insensato rompere per ricostruirne uno” altro”.

In quel mondo irrimediabilmente condannato alla malattia, la voce di Prospero dilaga in tutta la sua lucida follia, sepolta a tratti sotto la coltre del frastuono volgare della contemporaneità, distante in modo abissale dai ritmi naturali che hanno fin qui governato Madre Terra, orfana dell’amore di Dio, e dell’armonia di un prima che pare lontanissimo, e ove la devastazione della pestilenza fa il paio con la desolazione del genere c.d. umano.

La peste è peraltro stata cornice e contesto di tanta letteratura sulle Epidemie, e il c.d. filone “Epidemico”, quale il Decameron di Boccaccio, è stato altre volte contiguo alla fantascienza e al dramma.

Quanto sopra ha trovato vasto spazio anche in rappresentazioni filmiche orientate intorno a quel nemico invisibile. Quanto alle opere letterarie, si ricorda La peste a Firenze nel XV secolo, dramma espressionista incentrato su espiazione e morte, diretto nel 1919 da Otto Ripper, su sceneggiatura di Fritz Lang, liberamente ispirato al racconto “La maschera della morte rossa”, e di ambientazione rinascimentale. In ambito cinematografico si annovera “La maschera della morte rossa”, opera filmica orrorifica, del 1964, di Roger Corman, con un satanico Prospero medievale, che, rinchiuso nel proprio castello, prepara orge e feste e tiranneggia un villaggio del Sud Italia ove regna la peste; ancora, Andrei Rublev, del 1966, scritto e diretto da Andrej Tarkovskij, racconto in capitoli sulla Russia a cavallo fra 14° e 15° secolo, sempre in periodo di pestilenza.

Infine, come non citare l’opera cinematografica “La peste” del 1992, film liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Camus e “Il settimo sigillo” del 1957, di Ingmar Bergman, con la famosa partita a scacchi con la morte di Antonius Block (Max von Sydow), ove campeggia, e neanche troppo da sfondo, il rossore e l’orridezza, quel colore scarlatto della peste, evocata anche nell’ opera teatrale” de qua”, meritatamente apprezzata dagli spettatori.

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