La favola di Adorno, il messinese re delle corse che al professionismo preferì il posto in Fiat VIDEO

La favola di Adorno, il messinese re delle corse che al professionismo preferì il posto in Fiat VIDEO

Carmelo Caspanello

La favola di Adorno, il messinese re delle corse che al professionismo preferì il posto in Fiat VIDEO

venerdì 17 Febbraio 2023 - 08:15

LA STORIA 1179 corse e 210 vittorie assolute. Partì dalla sua abitazione vicino Villa Dante verso Torino "quando non si affittava ai meridionali. Mi arrangiai con sconosciuti in una soffitta"

di Carmelo Caspanello (regia e montaggio video Matteo Arrigo)
MESSINA – 1179 corse disputate, 103mila e 420 chilometri percorsi, 210 vittorie assolute, 116 di categoria, 76 conquistate per distacco e 8 a cronometro. “Nel mio archivio ho segnato tutto, chilometro per chilometro. Trionfi e cadute”. Quella di Vittorio Adorno, classe 1939, è una favola, corroborata da aneddoti e spaccati di una gioventù fatta di sacrifici, ripagati dai tanti traguardi raggiunti. La prima gara il 3 aprile del 1955; l’ultima il 15 agosto del 1997.
Una carriera che parte da Messina e prosegue a Torino, dove vive con la moglie Virginia. Com’è nata la passione per il ciclismo?
“In realtà non dovevo essere io il ciclista della famiglia bensì mio fratello Arcangelo. Siccome era sordomuto, non gli hanno dato la licenza per correre. Lui già aveva una bici, che a quel punto presi io. Abbassai la sella ed iniziai a pedalare. Mio fratello ha invece corso a piedi ed anche lui ottenne dei buoni risultati, compreso un titolo nazionale. Così iniziò la mia carriera, che ho concluso all’età di 58 anni”.
Dall’Annunziata Messina alla Fiat di Torino, dove approdò nel ’62 a 22 anni. E l’offerta di correre da professionista che rifiutò. Avrebbe tentato l’avventura se la Fiat le avesse dato un permesso di 6 mesi non retribuito. Cosa accadde?
“A metà degli anni ’60 attraversai il  periodo migliore da ciclista, vinsi un po’ di tutto, soprattutto in Piemonte. Ho vinto anche in salita contro professionisti quali Panizza ed in volata contro velocisti quotati. Ero abbastanza completo, insomma. Allora non c’erano i procuratori ed il contratto che mi offrivano non dava garanzie: per iniziare mi davano 10 mesi di stipendio. Alla Fiat, invece, percepivo già tredici mensilità, avevo il medico e, soprattutto, un florido avvenire. Passare al professionismo allora era un salto nel buio. Alcuni miei colleghi lo fecero e rimbalzarono indietro, rimanendo senza lavoro”.
A Torino come si trovò?
“Ero da solo, non avevo la famiglia. Non era semplice. Lavoravo e facevo gli allenamenti. Tra l’altro vi giunsi nell’era in cui non si affittava ai meridionali. Mi sono dovuto arrangiare in una soffitta insieme a due sconosciuti. Sacrifici enormi. Quando racconto la mia storia in tanti stentano a crederci. Passai dalla soffitta ad un alloggio decente grazie al mio direttore sportivo”.
Quali società professionistiche si interessarono a lei?
“Maino prima e Cynar dopo. In quest’ultima corse Adorni”.
Una domanda che sicuramente le avranno fatto tante altre volte… Una sola lettera lo differenzia dal nome del più celebre e compianto ciclista che ha appena citato, Vittorio Adorni, classe 1937, che vinse il Giro d’Italia del 1965 e il Campionato del Mondo nel 1968. Vi siete mai incontrati?
“Sì. A Mantova in un circuito cittadino. Poi al giro di Puglia e Lucania, dove lui arrivò tra i primi e io mi dovetti ritirare per incidenti meccanici. Ed ancora ci siamo trovati in gara insieme a Messina, al Giro dei monti Peloritani, dove giunse secondo, mentre io dovetti interrompere la corsa perché all’indomani ero impegnato a Siracusa nel Campionato regionale”.
Per gareggiare, negli anni ’50 e ’60, ha fatto tanti sacrifici. Le è capitato anche di correre dopo 20 ore di viaggio in treno, giusto il tempo di scendere dalla carrozza ed inforcare la bici. Frutto di tanta passione…
“Grandi sacrifici. Tanti miei colleghi correvano soltanto, avevano degli ingaggi al Nord e di fatto facevano i… professionisti ma per me è stato diverso. In questo contesto si inserisce la favola della vittoria a Milano dopo un viaggio di 20 ore con il Treno del Sole. Sono arrivato, ho corso ed ho tagliato il traguardo per primo. Eccezionale. Incredibile. Devo dire però che ero convinto dei miei mezzi. Quando mi allenavo lungo la Messina-Taormina, simulavo la volata all’altezza di Capo Alì, Capo S. Alessio e dicevo tra me e me: vincerò la Coppa San Geo a Milano. Il sogno divenne realtà. Andò tutto bene. Ero ospite di un mio carissimo amico messinese, Filippo Muscolino. Arrivai venerdì notte, sabato mattina abbiamo fatto un giretto e la domenica, un freddo giorno di festa, la gara con 200 corridori. Siamo arrivati in sette e vinsi la volata”.
Cosa pensa del ciclismo di oggi?
“Sono appassionato, ma oggi è sconfortante, non c’è più la partecipazione dei miei tempi. Io a Messina abitavo nella zona di Villa Dante, ricordo le corse che si svolgevano proprio in quell’area tra due ali di folla. C’era grande entusiasmo. Adesso ci sono tanti praticanti, manca il pubblico”.
C’è un aneddoto, una gara che più di altre ricorda con nostalgia?
“Sì, la Notturna ciclistica a Messina. C’era una gara per giovani ed una per veterani. Ebbene, questi ultimi minacciarono di non correre se avessi partecipato io. Mi costrinsero così, a 44 anni, a correre con giovani di 20-24 anni. Alla fine ho vinto lo stesso. La ricorderò per sempre”.
Come ricorda La città di Messina degli anni ’50 e ’60?
“Vivo a Torino dal ’62. Ho grande nostalgia di Messina, ce l’ho sempre nel cuore. Per me è la più bella città del mondo: ha un panorama mozzafiato, il sole… Purtroppo è da qualche anno che non vengo giù a causa dell’età, non voglio dare fastidi ad amici o parenti. Ma la nostalgia c’è sempre. A Torino mi sono realizzato ed ho trovato il lavoro, che mi è stato dato prima della bicicletta. Sono stato assunto alla Fiat come operaio. Ho studiato per quattro anni, facendo un corso da disegnatore e progettista e successivamente sono stato impiegato negli uffici… Era un lavoro che mi piaceva. Ai giovani dico di guardare al loro futuro, di studiare. I sacrifici pesano ma servono a costruire su basi solide. Nessuno regala niente”.   

Un commento

  1. Cucinotta Giacomo 18 Febbraio 2023 11:43

    Siamo negli anni del Miracolo Economico: il Miracolo l’abbiamo fatto noi. Govani del Sud Italia che all’età di venti anni siamo emigrati al Nord Italia al costo di grandi sacrifici e privazioni, senza famiglia e senza la nostra meravigliosa terra. Ci chiamavano terroni e ci negavano anche alloggi decenti. La mia fortuna a Torino è stato l’incontro con la Fiat nel 1966. L’odio per una terra nemica si trasformò, col passare degli anni, in amore per una Società, la FIAT veramente eccezionale!

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