“La felicità”, un mirabile quadretto di infelicità in salsa siciliana

“La felicità”, un mirabile quadretto di infelicità in salsa siciliana

Tosi Siragusa

“La felicità”, un mirabile quadretto di infelicità in salsa siciliana

domenica 13 Luglio 2025 - 11:17

Una messa in scena riuscita per la stagione estiva del Teatro dei 3 Mestieri a Messina

MESSINA – La stagione estiva dei 3 Mestieri “Fuori in scena”, nella serata del 11 luglio, ha messo in scena una mirabile pièce: “La felicità“. Una produzione dell’Associazione Culturale “Madè”, già in cartellone anche per i “Teatri di Naso”, per la regia del sopraffino Nicola Alberto Orofino, la resa interpretativa eccellente di tre attrici davvero in parte, Roberta Amato e Giorgia Boscarini – autrici anche della felice drammaturgia- unitamente a Luana Toscano.

Di felicità si parla, si parla, viene evocata di continuo, a volersi convincere di godere di questo stato, ma con troppa insistenza, che nel finale si fa ripetizione sardonica e solo formale della terminologia, volta a rimandare al proprio opposto.

In una Catania dei primi anni ’70, che “s’allunga”, si stira, confidando di divenire la Milano del Sud di cinquant’anni addietro, dunque, ma ancora ai nostri tempi credibile perché quasi bloccata, si fatica a percepire e rendere operante nei contesti familiari, i fermenti e quell’humus delle modifiche al delitto d’onore e della riforma codicistica civile, che da lì a qualche anno avrebbe privato lo sposo dello status di dominus, pater familias con autentico potere su moglie e prole.

Penso a quanto ancor oggi, pur con le conquiste innegabili, si sia ancora lontani dal raggiungimento di una autentica parità fra i sessi, con quello femminile sempre in posizione non solo di subordinazione in ambito familiare, ma secondario anche in quelli professionale, scientifico e artistico.

Il percorso è arduo e irto di insidie, ahinoi!

Le tre donne intanto sgranano il rosario delle loro vite, ove la figura maschile è sempre soverchiante. Cattura l’attenzione la zitella misogina e bigotta, con una religiosità di facciata “tout court”, che non si è potuta maritare per essersi, fin da adolescente, dovuta occupare del nipote, che continua a venerare in maniera ambigua, mal sopportando la di lui consorte, e non reputandola adeguata, e alla quale si sostituisce per garantire al Sig. Dott. Costruttore un aspetto impeccabile (come fa stirandogli le camicie alla perfezione). In scena anche la moglie dell’imprenditore, appunto, che, poco a poco, sta prendendo coscienza dell’esistenza di un mondo altro (che traspare dalla lettura di quotidiani femministi sessantottini) quello dei collettivi, ove le donne possono confrontarsi, un universo in cui anche il marito deve sapersi tenere la sposa…e inizia a crescere in lei il sogno dell’indipendenza economica, che con la sopraggiunta dolce attesa, diverrà sempre più mirabile e possibile traguardo.

La terza figura di donna appare come uscita dalle “réclame” del tempo: i proclami di felicità, con le ininterrotte affermazioni di possederla, poiché nella “iaggia” dorata, ove vive rinchiusa, il consorte non le fa mancare il corredo Paoletti, ogni elettrodomestico in voga, la cabina estiva per tre mesi, la 1100D, la carne Montana, il capezzale di Maria sopra il letto, anche se, poiché si spacca la schiena fuori, non è mai a casa con lei. Questo, continua a ripetersi, mentre i mesi, anno dopo anno, corrono via, eternamente cristallizzati in quella routine.

Una “mise-en-scène” infarcita di “cose da femmina”, di quel sesso in via diuturna secondo, con un registro, che se è quasi stabilizzato sui toni ironici, ha mantenuto uno sguardo delicato, non perdendo mai di vista l’essenza della narrazione, quel piccolo microcosmo, quasi un gineceo, ove l’uomo è però costantemente presente, o quale figura mitizzata e temuta, o perché messo, sulle prime timidamente, e poi con crescente convinzione, in discussione.

Le canzoni d’epoca, intonate a gran voce, quelle italiane degli anni 60, hanno fatto il resto, proiettandoci in un’atmosfera quasi da “The Truman Show”, ove la differenza fra il mondo reale e quello fittizio decantato dalla pubblicità appare annullata e il trio, abbigliato in guisa bon ton, è perfetta espressione di uno scenario femminile, che, forse più di quello maschile, stenta tantissimo a prefigurarsi proprie ambizioni, figurarsi a tenerne alta l’asticella.

Bella l’atmosfera, efficace il gioco di luci, con una scenografia stringatissima, come dovevasi, dal momento che sono le confessioni delle tre protagoniste a rimandare alla perfezione ai loro contesti quotidiani, ove conducono, quasi in prigionia, l’esistenza.

Molto attivo e plaudente il folto pubblico presente, così come apprezzabile è stato, come sempre, il rito pregresso dell’ottimo apericena.

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