L’approvvigionamento idrico di Messina tra fine Ottocento e inizio Novecento

L’approvvigionamento idrico di Messina tra fine Ottocento e inizio Novecento

Daniele Ingemi

L’approvvigionamento idrico di Messina tra fine Ottocento e inizio Novecento

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venerdì 23 Maggio 2025 - 08:59

La situazione prima dell’introduzione dell’acquedotto della Santissima

Alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, Messina si trovava in una fase di transizione verso un sistema idrico più moderno, spinta dalla crescita demografica, dall’urbanizzazione e dalla necessità di migliorare le condizioni igienico-sanitarie. Prima dell’introduzione dell’acquedotto della Santissima, inaugurato nel 1905, l’approvvigionamento idrico della città peloritana dipendeva principalmente da fonti locali tradizionali, come pozzi, cisterne e sorgenti minori, spesso insufficienti a soddisfare il fabbisogno di una popolazione in espansione.

Fonti di approvvigionamento idrico

Prima della costruzione dell’acquedotto della Santissima, Messina si affidava a un sistema frammentato e limitato per l’approvvigionamento idrico. La maggior parte delle abitazioni e delle strutture pubbliche utilizzava pozzi e cisterne per raccogliere acqua piovana o da falde superficiali. Questi sistemi, tuttavia, erano vulnerabili alla siccità e alla contaminazione, soprattutto in un contesto urbano in cui le condizioni igieniche erano precarie. I pozzi, spesso situati nei cortili delle case o in aree pubbliche, erano alimentati da acque sotterranee, ma la loro portata era limitata e la qualità dell’acqua non sempre garantita. Nelle estati caldi spesso si prosciugavano.

Alcune sorgenti naturali, sparse nelle aree collinari e montuose dei Peloritani, rappresentavano una fonte complementare. Tra queste, le sorgenti nella valle degli Eremiti (vicino a Fiumedinisi e Monforte San Giorgio) erano già note, ma non ancora sfruttate in modo sistematico fino alla costruzione dell’acquedotto della Santissima. Queste sorgenti, di natura carsica, offrivano acque di buona qualità, ma il loro utilizzo era limitato dalla difficoltà di trasporto verso il centro urbano.

I torrenti della città, come il Portalegni o il Zaera, potevano essere utilizzati per scopi non potabili, ma le loro acque erano inquinate e inadeguate per il consumo umano senza trattamenti. La dipendenza da queste fonti era minima e riservata principalmente ad attività agricole o artigianali.

Anche le fontane, come la celebre Fontana di Orione o la Fontana del Nettuno, erano punti di distribuzione idrica per la popolazione, alimentati da cisterne o piccoli condotti collegati a sorgenti locali. Tuttavia, la loro capacità era limitata e non in grado di soddisfare una grande domanda.

Questi sistemi, pur radicati nella tradizione, risultavano inadeguati per una città che, all’alba del XX secolo, contava circa 147.000 abitanti e ambiva a modernizzarsi. La scarsità d’acqua, unita al rischio di epidemie come il colera, rese urgente la progettazione di un’infrastruttura idrica più efficiente.

L’acquedotto della Santissima: la svolta tecnica

L’inaugurazione dell’acquedotto della Santissima il 6 agosto 1905 segnò una svolta cruciale per l’approvvigionamento idrico di Messina. Quest’opera, progettata per rispondere alle esigenze di una città in crescita, si basava su un sistema di captazione, trasporto e distribuzione all’avanguardia per l’epoca. L’acquedotto della Santissima sfruttava oltre 50 sorgenti naturali distribuite in 11 gruppi principali, localizzate in una vasta area montana tra i comuni di Fiumedinisi e Monforte San Giorgio, sui Monti Peloritani. Queste sorgenti, situate nella valle degli Eremiti, erano alimentate da un sistema idrogeologico carsico, che garantiva acque pure e abbondanti grazie alla filtrazione naturale attraverso il terreno poroso.

La captazione avveniva attraverso gallerie filtranti e pozzi di raccolta, progettati per raccogliere l’acqua direttamente dalle falde sotterranee. Le sorgenti erano posizionate a quote elevate, lungo i rilievi della dorsale, il che consentiva di sfruttare la gravità per il trasporto dell’acqua verso la città, riducendo la necessità di pompaggi meccanici. Una volta raggiunta Messina, l’acqua veniva immessa in serbatoi di stoccaggio, come quelli di Montesanto, Trapani o San Licandro, e poi veniva diustribuita per gravità alle zone basse e collinari.

La rete idrica primaria, composta da condotte metalliche interrate, si ramificava in una maglia di tubature secondarie che raggiungevano fontane pubbliche, edifici istituzionali e, in misura minore, utenze private. La rete era progettata per garantire una distribuzione equa, sebbene le perdite dovute a tubature obsolete fossero già un problema all’epoca. All’inizio del Novecento, l’acquedotto della Santissima aveva una portata iniziale di circa 90 litri al secondo, sufficiente a coprire una parte significativa del fabbisogno della zona sud della città e dei villaggi limitrofi, da Galati fino a Santa Lucia. Questa capacità fu successivamente ampliata con interventi di ottimizzazione, raggiungendo i 230 litri al secondo in tempi più recenti.

Le criticità dell’infrastruttura nei periodi di scarse piogge

Va pero detto che prima dell’introduzione degli acquedotti Fiumefreddo e Alcantara, la Santissima rappresentava la principale fonte idrica, rendendo il sistema vulnerabile in caso di guasti o siccità. Difatti, nelle annate con piogge scarse (i cicli siccitosi a inizio 900 avevano tempi di ritorno più lunghi), la città soffriva maledettamente la mancanza d’acqua, e si temeva molto per possibili epidemie. E solo le famiglie dell’alta società potevano garantirsi allacci privati a pozzi o piccole sorgenti localizzate alle pendici dei colli (ma anche quelli erano vulnerabili alla siccità). La costruzione dell’acquedotto della Santissima fu motivata non solo da esigenze pratiche, ma anche da un contesto socio-politico che vedeva Messina come una città in pieno sviluppo, desiderosa di allinearsi agli standard delle grandi città italiane, all’indomani dell’Unità d’Italia. La sua realizzazione migliorò significativamente l’accesso all’acqua potabile, riducendo i rischi sanitari e favorendo lo sviluppo urbano, nonostante le sfide legate alla manutenzione e alla gestione.

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Un commento

  1. ma di cosa parlate, a Galati 3 giorni senza una goccia di acqua. Amam è una Azienda incompetente, deve solo andare a casa. Sino a quando dobbiamo sopportarli, le famiglie giustamente o non giustamente, non paga più bollette , il motivo? l’acqua a singhiozzo , mettete fine a questa situazione e vedrete che le famiglie si metteranno in regola, altrimenti ci andiamo di mezzo tutti !!

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