Le origini ed il senso antico della Pasqua

Le origini ed il senso antico della Pasqua

Daniele Ferrara

Le origini ed il senso antico della Pasqua

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martedì 09 Aprile 2019 - 07:37

Viaggio tra riti, tradizioni e significati della Pasqua di Resurrezione

Qual è il senso della Pasqua? “Mero” ricordo della morte di un uomo e della sua eventuale resurrezione, unicamente cattolica solennità principale? La Pasqua di Resurrezione, da ben differenziarsi dalla Pasqua ebraica, ha un significato molto più ampio e complesso.

Nella maggior parte delle lingue parlate nei paesi a prevalenza cristiana, la solennità deriva il suo nome da quello greco Pascha tratto dall’ebraico Pesach, la cui radice nelle lingue semitiche indica un vasto quantitativo di significati che rendono difficile capire quale fosse quello originario (“Placazione”, “Misericordia”) anche se tradizionalmente viene tradotto come “Passaggio”; oppure, il nome della festa ricalca culti più antichi, come quasi sempre nelle lingue germaniche deriva dalla dea primaverile Ēostre che in quelle tradizioni dava anche il nome al mese corrispondente ad Aprile, e in altre lingue ancora deriva da appellativi rivolti alla ricorrenza, come nelle lingue slave la “Grande Notte”.

Bisogna tenere in conto che la celebrazione pasquale archetipicamente nasce per cadere almeno il 22 Marzo in concomitanza con l’equinozio (o comunque all’inizio della primavera), costituendo una delle otto maggiori feste annuali comparabili delle civiltà umane; tuttavia il legarla del Cristianesimo anche alle fasi lunari determina la caratteristica caduta della Pasqua alla prima Domenica dopo il primo plenilunio dall’equinozio (mai oltre il 25 Aprile). Ma, come già detto, la Pasqua s’accorda all’equinozio di primavera per fare uso sacrale dell’equilibrio creatosi.

Uno sguardo all’antico calendario religioso greco (ad Atene, per quel che ne sappiamo) può chiarirci alcune cose: dal 10 al 16 di Elafebolione (ossia fine di Marzo e inizio d’Aprile) erano fissate le Dionýsia tà Megála, le maggiori feste dedicate e Dioniso. Passiamo al calendario festivo romano-imperiale di Marzo: si officiavano il 14 le Equirria in onore di Marte, il 15 e il 16 le Bacchanalia (possibilmente d’origine siceliota) per Bacco-Dioniso, il 17 le Liberalia per Liber Pater e Libera (sempre Dioniso, con la sua paredra) e l’Agonium Martiale per Marte, dal 19 al 23 le Quinquatria per Minerva e il 23 stesso il Tubilustrium per Marte, inoltre per tutto il periodo dal 15 al 28 si celebrava l’esotico Sanguem in onore di Cibele e Attis.

Si può notare come il periodo sia dominato da festeggiamenti per Bacco e Marte, entrambi dèi primaverili con caratteri derivanti dall’unico archetipo del dio che muore e risorge (con una forma festaiola e una seriosa, potremmo dire), con l’aggiunta della lunga solennità in onore di Cibele e Attis, ove la devozione è rivolta al tema sacro della dualità in equilibrio e, ancora, della resurrezione; tuttavia, la prevalenza pressoché assoluta è quella di Dioniso.

Non bisogna fare l’errore di pensare questo dio nella sua dimensione orgiastica, ma in quella salvifica dell’Eleuterio, il nume portatore di gioia e liberazione che infrange le convenzioni umane e conferisce la beatitudine nella morte che lui stesso ha attraversato più volte. La religiosità cristiana ha sovrapposto alcune tappe della vita di Gesù a momenti fondamentali del Dionisimo, e non è un caso: Cristo infatti è il novello Dioniso.

Insomma, la Pasqua è celebrata da tempo immemore, come la maggior parte delle festività cristiane. Ciò può dirci soltanto una cosa, rivolta a tutte le persone a prescindere dal credo. Nella divinità di Gesù Nazareno si può credere o non credere, come si può credere o non credere nell’esistenza effettiva piuttosto che metaforica delle antiche deità, ma il messaggio di rinnovamento che dalla Pasqua scaturisce è valido per tutte le genti: ancora una volta la natura si è risvegliata, eppur sembrava morta, ma ora è tempo che nuove bellezze e grandezze giungano, e siano create; ancora una volta.

Come anche l’Apocalisse di Giovanni recita: “E colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose”.

Che il passaggio verso questa solennità imminente possa esservi sereno e ben meditato.

Daniele Ferrara

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