"Il cancro al seno e la mia vita vilipesa e offesa da biopsia senza anestesia"

“Il cancro al seno e la mia vita vilipesa e offesa da biopsia senza anestesia”

“Il cancro al seno e la mia vita vilipesa e offesa da biopsia senza anestesia”

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sabato 22 Dicembre 2018 - 05:19
La lettera

Gentile Direttore, Le scrivo queste poche righe perché sono convinta che ognuno di noi, nella vita, abbia una missione e perché credo che nulla accada per caso.

E se nulla accade per caso ma tutto ha un senso, il segreto sta nel trasformare il veleno in medicina, ovvero utilizzare ciò che accade per trarne un beneficio, per sé o per altri. La metto al corrente di quanto accadutomi affinché, attraverso la divulgazione, a nessun’ altra donna succeda quello che è successo a me. Sto affrontando la sfida più difficile della mia vita: neoplasia mammaria, o, in termini più comuni, cancro al seno.

Capita, capita che un giorno qualunque, caldo e soleggiato, una donna in camice bianco, con una semplice ecografia di routine, ti faccia all’improvviso entrare in una dimensione parallela a quella reale. In questa dimensione ci sei tu ed un mondo fino a quel momento sconosciuto; perché se anche è vero che l’hai vissuto tante volte per sostenere chi ci è passato prima di te, viverlo in prima persona è tutta un’altra cosa.

In questo mondo c’è la necessità di capire quanto tempo hai, c’è l’esigenza di piangere, di rialzarsi, di elaborare, accettare e lottare, di capire cosa farne di questa cosa che ti è capitata. C’è il bisogno di abbracci sinceri, di baci, di compassione ma non di pietismi. E c’è anche l’affannosa ricerca di un centro oncologico cui affidarti, del “medico giusto”. Inizia il tam tam di informazioni, suggerimenti, vai al Nord, resta al Sud, non andare da quello, vai da quell’altro.

Il primo passaggio, comunque, è obbligatorio: agobiopsia mammaria.

Chiedo alle varie strutture ospedaliere, leggo, mi informo, per scoprire che: “L’agobiopsia mammaria è una procedura ambulatoriale di prelievo istologico (cioè di materiale tessutale in forma di piccoli frustoli cilindrici), che viene eseguita mediante l’inserimento di un ago tranciante in un modulo o in un’area sospetta della mammella. L’esame è sostanzialmente indolore in quanto viene eseguito in anestesia locale, praticando una minima incisione cutanea nel punto d’ingresso dell’ago”.

Mi terrorizzo solo ad immaginare questo ago tranciante, ma mi consola il fatto di non sentire alcun dolore grazie all’anestesia. Decido di fare questo primo esame alla clinica Salus di Messina, per poi scegliere dove continuare a curarmi. Devo ricoverarmi due giorni, poiché la struttura non effettua biopsie in day hospital.

Ho paura quando chiamano il mio nome nei corridoi del reparto, devo scendere giù a piano terra, l’ecografista è pronto. Attingo a tute le mie risorse interiori per farmi coraggio. Mi stendo sul lettino ed inizia l’ecografia: immagini a me oscure scorrono sul monitor, il dottore prepara gli strumenti del mestiere, un infermiere lo assiste. Rivolgo la domanda che reputo superflua, ma ho bisogno di sentirmi rassicurata: “Dottore, fa lei l’anestesia?” La risposta mi sconcerta e mi getta nel panico: “No, non facciamo anestesia”.

Ho ancora il tempo di scegliere; scappare o restare? Ma alzarsi e andar via vuol dire perdere altro tempo ed io non posso permettermelo, devo restare.

Passano pochi secondi, o forse minuti, e l’ago inizia a perforare la mia pelle, strato dopo strato, per poi andare dentro, sempre di più, a strattoni e piccoli scatti, fino a raggiungere il nodulo da tranciare.

Mi manca il respiro, sento il mio corpo trafitto, il cuore quasi spaccarsi, ma ancor di più sento la mia anima ferita. L’operazione viene ripetuta per tre volte, tre volte l’ago perfora, senza alcuna anestesia, il mio seno, per prelevare i “frustoli cilindrici”.

E’ stata brava – mi dice il dottore quando ha finito – non ha urlato”.

Mi alzo immediatamente, devo uscire da lì, anche se non mi reggo in piedi, anche se il dolore che avverto è lancinante. Braccia amorevoli mi accolgono fuori dall’ambulatorio. Non comprendo, mi sfugge la ragione di tanta sofferenza, in fondo bastava una semplice anestesia locale, protocollo osservato, tra l’altro, pressoché ovunque.

Gentile Direttore, spero che Lei diffonda quanto accaduto, perché io , quella mattina, oltre al dolore fisico, ho visto la mia vita offesa e vilipesa dalle inutili sofferenze inflitte da un sistema sanitario malato. La vita di ogni essere vivente è sacra e va rispettata in ogni sua forma, sia esso bianco o nero, ricco o povero, sano o malato. Una domanda non posso fare a meno di pormi: “ma il Direttore della clinica, o l’ecografista, avrebbe sottoposto una su parente a biopsia senza anestesia locale?”

Lettera firmata

5 commenti

  1. antonio barbera 22 Dicembre 2018 13:38

    La signora è stata sottoposta ad agoaspirato o a biopsia , sono due metodiche di prelievo di tessuto e cellule diverse . L’ago aspirato è eseguito con ago sottile e non prevede anestesia locale è praticamente indolore , la biopsia è più traumatica . Avendo indicato la struttura sanitaria, accreditata presso il SSN, ove ha eseguito la procedura , può rivolgersi alla Direzione Sanitaria e chiedere il protocollo dell’esame al quale è stata sottoposta . Un chiarimento ed ulteriori informazioni spero possano dare serenità alla signora e fiducia per un migliore approccio diagnostico e terapeutico . Auguri vivissimi alla signora .

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  2. Ha tutta la mia considerazione.

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  3. Comprendo perfettamente lo stato d’animo, il dolore (così ben descritto) e lo smarrimento.
    A me è capitata la stessa cosa a Milano con l’unica differenza che il primo “prelievo” mi è stato fatta in un’area anestetizzata mentre il secondo no.
    La cosa che mi ha più ferita è stato il sentirmi dire: “su signora, faccia la brava”

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  4. Mi è capitata la stessa cosa alle Molinette di Torino, nonostante avessi chiesto l’anestesia. Mi è stato iniettato qualcosa che non è servito a niente e nonostante avessi detto che non avevo perso la sensibilità l’esame è cominciato lo stesso e proseguito nonostante le mie urla. Quando ho scritto all’Urp una lettera di protesta, mi hanno risposto (con molta calma più di un mese dopo) che era colpa mia perché avevo l’ansia.

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