Lo Giudice e la presunta calunnia al magistrato reggino Cisterna: ora si va in Cassazione

Lo Giudice e la presunta calunnia al magistrato reggino Cisterna: ora si va in Cassazione

Redazione

Lo Giudice e la presunta calunnia al magistrato reggino Cisterna: ora si va in Cassazione

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venerdì 29 Luglio 2022 - 16:00

Dagli interrogatori del 2011 al proscioglimento. Sentenza adesso impugnata davanti alla Suprema Corte da parte della Procura generale di Perugia

REGGIO CALABRIA – Impugnata davanti alla Cassazione la sentenza del primo marzo scorso con cui la Corte d’appello di Perugia ha assolto un imputato, condannato in primo grado dal tribunale, per calunnia ai danni del magistrato Alberto Cisterna.
Il ricorso è stato proposto dalla Procura generale del capoluogo umbro, che chiede l’annullamento della decisione.

Gli interrogatori del 2011

La vicenda – si legge in una nota diffusa dal pg perugino Sergio Sottani – riguarda due interrogatori resi innanzi a magistrati della Procura della Repubblica di Reggio Calabria il 10 maggio e il 28 giugno 2011 nel corso dei quali l’imputato aveva reso delle affermazioni in cui si ipotizzava che Cisterna, all’epoca in servizio presso la Direzione nazionale antimafia, avesse percepito una grande somma di denaro da un fratello del collaboratore di giustizia per favorire la scarcerazione di altro fratello.

La Corte d’appello, dopo aver escluso in modo certo la corruzione del magistrato, ha ritenuto che l’imputato non fosse effettivamente a conoscenza del carattere calunnioso dei fatti di cui era venuto a conoscenza, in ragione delle differenti versioni rese dall’imputato e dal fratello.

La Procura generale di Perugia: imputato conscio di calunniare

Al contrario, ad avviso della Procura generale, l’imputato era «perfettamente consapevole» della sua attività calunniosa in quanto le affermazioni riguardanti una, nei fatti, inesistente attività corruttiva del magistrato sono state portate all’attenzione dei magistrati reggini in due interrogatori ed in un memoriale.

Secondo l’Ufficio «in definitiva, le accuse, rivelatesi infondate, nei confronti del magistrato provengono da un soggetto che all’epoca dei fatti si era proposto come collaborante e che aveva tutto l’interesse ad accreditarsi come credibile e che per tale scopo ha operato una commistione tra il dato notorio della occasionale conoscenza del di lui fratello con il magistrato Cisterna ed affermazioni del fratello, contenenti le accuse al magistrato, che non hanno trovato riscontro».

Il riferimento concreto: l’affaire Nino Lo Giudice

Fin qui, naturalmente, il testo diffuso dalla Procura generale umbra con le cautele oggi indispensabili a causa delle nuove normative. Resta il dato sostanziale: la vicenda giudiziaria riguarda il “pentito-non-pentito” Nino Lo Giudice “il Nano” e le accuse esplicitate nei suoi due ‘memoriali’.
Dichiarazioni, peraltro, successivamente, ritrattate dallo stesso Nino Lo Giudice – in modo claudicante – attraverso un video in cui addirittura accusava magistrati e forze dell’ordine d’averlo dolosamente “imbeccato” sulle dichiarazioni da inserire nei suoi memoriali.

In altra occasione un altro “pentito” di ‘ndrangheta, Massimo Napoletano, rivelò peraltro quanto gli avrebbe riferito lo stesso “Nano”, cioè che «il fango sul numero due della Dna, Alberto Cisterna, era stata un’operazione programmata a tavolino dalle cosche reggine».

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