L'agguato ad Antoci: le indagini, retroscena, il business malavitoso dei fondi comunitari

L’agguato ad Antoci: le indagini, retroscena, il business malavitoso dei fondi comunitari

L’agguato ad Antoci: le indagini, retroscena, il business malavitoso dei fondi comunitari

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venerdì 20 Maggio 2016 - 15:34

Lo sviluppo delle indagini sull'agguato al presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci ruota attorno alla dinamica ed alle tecniche usate mentre si cerca di stringere il cerchio sulla "matrice" e sugli interessi che l'attività di denuncia ed il senso civico mostrato nella lotta alla "mafia dei pascoli", alle truffe all'AGEA, ai reati di abigeato e macellazione clandestina in questi mesi erano stati contrastati nel comprensorio nebroideo.

Non si ferma il clamore generato dall'agguato a Giuseppe Antoci, il Presidente del Parco de Nebrodi, verso cui nella notte di mercoledì tra Cesarò e San Fratello la criminalità ha alzato il tiro passando dalle minacce e gli avvertamenti ad un'azione di stampo militare che è stata definita senza mezzi termini da qualficati soggetti istituzionali come il presidente regionale Crocetta e il senatore Lumia, vicepresidente commissione antimafia, come una dichiarazione di "guerra".

A fare il punto sulle indagini il procuratore della Dda Guido Lo Forte che coordina un pool di investigatori composto dai procuratori Vito Di Giorgio, Angelo Cavallo e Fabrizio Monaco che senza mezzi ha ribadito la matrice malavitosa di quanto successo e come la reazione sia figlia di una reazione, tanto più violenta, quanto più evidente che si era toccato un aspetto cruciale come quello dell'approvigiamento di denaro.

"Quello che emerge – ha spiegato nella sua disamine Lo Forte – è che la mafia sta rialzando la testa. La terza mafia della provincia di Messina, quella dei Nebrodi (i Batanesi e i Tortoriciani, ma non solo…) una delle organizzazione criminale tra le più antiche e pericolose si sta riorganizzando cercando di recuperare terreno e spazi dopo che i clan di Barcellona Pozzo di Gotto e di Messina sono stati colpiti in maniera forte anche dalle operazioni antimafia".

Un'uscita dall'ombra che testimoniebbe anche di un momento di passaggio per quelle cosche della provincia apparse ai più spesso secondarie nelle scelte decisionali, affiliati impiegati come manovalanza e che dagli anni novanta sembrava essere in declino per effetto delle risposte che il territorio aveva saputo affermare con le lotte antiracket di Capo d'Orlando e Sant'Agata di Militello rispettivamente con ACIO e ACIS, e la scomparsa di quelle grandi opere infrastrutturali come furono i cantieri autostradali dentro cui inserire i propri affiliati e garantire la "protezione".

A ciò si aggiungono anche le lotte e le faide interne alla lotta tra i clan (celebre quella tra i Bontempo Scavo e i Galati Giordano), le condanne nei processi, ma anche un'evoluzione della società con la perdita del controllo del territorio a fronte della reazione dello Stato dopo il periodo stagistico e gli arresti eclatanti dei boss corleonesi, in cui tuttavia rimanevano i controllori dei principali canali di distrubuzione della droga e di altri piccole attività di micro criminalità.

Per ovviare ad una situazione del genere, la scelte del basso profilo del ritorno ad attività agricole o di allevamento del bestiame, e da cui inaspettatamente sono arrivate opportunità di "business" collegati allo sfruttamento di fondi pubblici comunitari, approfittando delle maglie larghe della burocrazia.

Già perché la questione si unisce all'incapacità di far valere nella materia regole come quelle operate in altri settori in merito alle leggi antimafia per l'imprenditoria. Qui si trova la principale "falla" nelle autocertificazioni delle dichiarazioni per importi finanziati con un tetto economico dei 150.000 euro, e l'assenza di verifiche compiute da una macchina farraginosa come l'AGEA.

Pochi funzionari delegati a controllare un territorio sconfinato, ed il moltiplicarsi dei contratti presentati per lo sfruttamento dei terreni interni a fini agricoli o di pascolo, a volte falsati a danno di privati inconsapevoli e addirittura per l'uso di aree demaniali, con la presentazione di domande di finanziamente attraverso patronati agricoli, spesso collusi, ma anche incapaci di verificare nel merito dell'autenticità dei contratti di sfruttamento delle aree presentati con frodi scoperte a distanza di anni e spesso già prescritte.

In un simile contesto il ricavo diretto rasentava il 1000% in più di quanto realmente investito, ed al contempo con questi introiti si foraggiavano altre attività lecite ed illecite, ma anche il sostentamento delle famiglie dei carcerati o le spese per procedimenti legali.

Tra le attività prevalenti ci sono quelli dell'allevamento di ovini e bovini, ed in cui nel tempo si sono innescati due vecchi fenomeni di criminalità, ovvero l'abigeato e la macellazione clandestina.

Il primo, l'abigeato, ovvero il furto di capi dei bestiami che spesso risultavano irrintracciabili, saltando anche le normative della marchiatura e di profilassi confluendo in un "mercato nero" delle vendite e quindi anche della "macellazione" e l'immissione sul mercato attraverso macellerie, ristoranti e supermercati compiacenti. Altro fronte potrebbe emergere anche sulla produzione del latte in esubero e usato per la realizzazione di formaggi e altri prodotti caseari in assenza di controlli.

Ritornando alla dinamica dell'agguato, un nodo particolare riguarderebbe le tracce di sangue rinvenute a poca distanza dal pietrame posto sulla carreggiata per generare quel rallentamento che ha messo la vettura blindata con Antoci e la scorta sulla linea di fuoco degli aggressori che sparavano a "pallettoni" attraverso un fondo agricolo sottostante il tratto stradale, in una posizione apparentemente coperta con l'obiettivo di costringere all'uscita allo scopeto degli occupanti del veicolo.

Il commando era costituito da almeno tre uomini, ma probabilmente contava sul supporto di almeno un fiancheggiatore basista che dovrebbe aver avvisato della partenza del convoglio da Cesarò e raccolto gli aggressori nella loro fuga.

Non è da escludere neppure che la "matrice" esterna dei mandanti di un commando che potesse provenire da alcune aree interne dell'ennese o dell'etneo che rientrano nell'area di attività del Parco dei Nebrodi (abbraccia appunto le tre province) e dove in questi mesi hanno visto concretamente restringersi le possibilità del loro illecito in aree attraverso la revoca di molte concessioni, cosa che ha portato anche all'istituzione di una scorta (ora rafforzata) per il sindaco di Troina Sebastiano Venezia.

(Giuseppe D'Amico)

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