Elezioni a Messina. Il prof. Randazzo: "Ecco perché scegliere di andare a votare"

Elezioni a Messina. Il prof. Randazzo: “Ecco perché scegliere di andare a votare”

Redazione

Elezioni a Messina. Il prof. Randazzo: “Ecco perché scegliere di andare a votare”

sabato 11 Giugno 2022 - 09:11

Il prof. Alberto Randazzo, presidente diocesano dell’Azione cattolica di Messina, invita ad andare a votare per le elezioni amministrative

di Alberto Randazzo*

MESSINA – Ci siamo, dopo il tempo della campagna elettorale, è ormai arrivato il giorno delle elezioni amministrative, momento cruciale per una comunità cittadina e, in generale, per la rappresentanza politica. Perché domani, 12 giugno, dovremmo scomodarci e andare a votare? In poche parole, perché “libertà è partecipazione”, come cantava Giorgio Gaber. Provo a spiegarmi meglio partendo dalla nota storiella, pronunciata ai giovani milanesi nel 1955 da Piero Calamandrei, le cui parole riporto testualmente.

Nel rilevare che «una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo» di chi ritiene che la politica sia una «brutta cosa» e che non gli «import[i] della politica», il noto costituente disse: «quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà di quei due emigranti, due contadini che traversavano l’oceano, su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca, con delle onde altissime e il piroscafo oscillava. E allora uno di questi contadini, impaurito, domanda a un marinaio “ma siamo in pericolo?” e questo dice “secondo me, se continua questo mare, tra mezz’ora il bastimento affonda”. Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno, dice: “Beppe, Beppe, Beppe” […] “che c’è!” […] “Se continua questo mare, tra mezz’ora, il bastimento affonda” e quello dice: “che me ne importa, non è mica mio!” Questo è l’indifferentismo alla politica».

Non sarebbe necessario andare oltre per comprendere come tutti i cittadini debbano sentirsi profondamente interpellati dal rinnovo degli organi del Comune. Tuttavia, proverò ad offrire qualche altro spunto di riflessione, rivolto soprattutto a quei lettori (non giuristi) che non sono soliti “maneggiare” la Costituzione italiana.

Uno sguardo alla Costituzione

Su due aspetti, in particolare, mi preme qui, in estrema sintesi, soffermare l’attenzione. Per prima cosa, sono sempre stato dell’avviso che non si debba rinunciare ad esercitare il proprio diritto al voto che, come si legge, nell’art. 48 Cost. è anche un «dovere civico». Addirittura, in Assemblea Costituente si discusse anche della eventuale obbligatorietà del voto (non mancò la proposta – non accolta – di precisare che esso fosse da considerare addirittura un dovere morale).

È molto comodo lasciarsi andare alla lamentela e alla critica distruttiva, senza che ci si assuma al tempo stesso la responsabilità del voto e, in generale, di qualunque altra forma di impegno per la collettività, nei limiti del possibile.

Che la partecipazione sia fondamentale in una democrazia appare a tutti evidente e se ne ha una conferma dalla lettura dell’art. 3, II comma, Cost. I Padri costituenti, infatti, vollero impegnare la Repubblica a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Si evince quindi che coloro che scrissero la Carta avevano ben chiaro il valore di partecipare, in modo “effettivo”, alla vita del Paese, sia sul piano politico che su quello economico e sociale.

Molto sul punto si dovrebbe dire, ma non è possibile ora dilungarsi. Certo è che per aversi un (buon) governo del popolo (e quindi perché la democrazia goda di buona salute), i cittadini non possono non interessarsi alla “cosa pubblica” e sono chiamati a sentirsi artefici del proprio futuro, corresponsabili della costruzione del Bene comune, a partire dal territorio che abitano. Vengono in mente le file interminabili di gente appassionata e composta che, il 2 giugno 1946, aspettava il proprio turno per votare al referendum che segnò la fine della monarchia.

Spostandoci, poi, su un piano non giuridico, anche papa Francesco ha osservato che «la partecipazione alla vita politica», che nell’esercizio del diritto di voto ha la sua massima (sebbene, non unica) espressione, «è un’obbligazione morale» (Evangelii gaudium 220).

In conclusione, un monito per tutti noi

Sia consentito infine riportare le parole di Giovanni Paolo II, quando, il 4 novembre 1994, a Catania disse: «i tempi urgono e non concedono spazio all’attesa inerte, alla mediocrità timorosa». E ancora: «nel presente momento storico, non ci può essere posto per la pusillanimità o l’inerzia. Esse, infatti, non sarebbero segno di saggezza o di ponderazione, ma piuttosto di colpevole omissione».

Queste parole arrivano fino a noi e risuonano forti perché credenti e non credenti si sentano profondamente interpellati a migliorare il “fazzoletto” di terra che abitano, prendendosene carico (a partire dall’esprimere il proprio voto) attraverso una significativa partecipazione all’«organizzazione politica, economica e sociale», per richiamare nuovamente l’art. 3 della Costituzione italiana.

*È fin troppo chiaro che le sorti della propria città sono affidate non solo ai rappresentanti ma a tutti i cittadini. Ognuno provi a fare la propria parte. Buon voto a tutti!

*Presidente diocesano dell’Azione cattolica di Messina Lipari Santa Lucia del Mela e docente di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Messina. Fa parte del Gruppo di Lavoro Rus (Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile) “Inclusione e Giustizia Sociale”. È autore di diverse pubblicazioni aventi ad oggetto la tutela dei diritti fondamentali, la giustizia costituzionale, i rapporti tra diritto esterno e diritto interno.

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