Messina. "Moby Dick o la balena. Per una teologia del Male", alla galleria Spazioquattro

Messina. “Moby Dick o la balena. Per una teologia del Male”, alla galleria Spazioquattro

Redazione

Messina. “Moby Dick o la balena. Per una teologia del Male”, alla galleria Spazioquattro

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sabato 26 Marzo 2022 - 07:00

La mostra dell'artista Antonino Amato si potranno animare nella Galleria Spazioquattro da sabato 26 marzo al 7 aprile

MESSINA – Delicate ceramiche e disegni, realizzati dell’artista Antonino Amato, si potranno ammirare nei locali della Galleria Spazioquattro da sabato 26 marzo. Il titolo della mostra, “MOBY-DICK; or, THE WHALE. Per una teleologia del Male” è sicuramente molto particolare, ma spiega un concetto che l’artista ha messo su carta in modo impeccabile, facendo riferimento ad una storia precisa, quella di una balena.

La mostra è una riflessione sul significato dell’azione e della storia, sulla consapevolezza che ogni sforzo renda giustizia al singolo ma non riesca comunque a dargli quel vero significato che si può ottenere solo abbandonandosi intimamente al Divino.

Chi è Antonino Amato

“La matita è l’ago della mia bussola con la quale mi muovo nel mio spazio, conosciuto e riconoscibile. Con la matita in mano ho fatto per anni l’architetto per le Ferrovie dello Stato per le quali ho progettato numerosi restyling di stazioni tra le quali Taormina, Catania, Siracusa Messina, il palazzo della sede compartimentale delle Ferrovie dello Stato a Palermo; nuove fermate tra cui quella di Tusa e Giampilieri. Come artista ho esposto le mie opere in personali a Messina presso la galleria Kalòs, l’Orientale Sicula, la Provincia di Messina. Ho anche partecipato a collettive tra cui “Artisti 100×100” (Teatro Vittorio Emanuele di Messina)”.

L’arte espressa

Ceramiche ma soprattutto disegni: tavole raffinatissime e preziose sono in mostra a Messina, nella Galleria Spazioquattro. L’autore, assolutamente schivo e immerso in un profondo percorso di riflessione morale, è Antonino Amato, architetto, messinese, uomo di vasta cultura. Per presentare le sue opere occorre distinguere la citazione, la conoscenza e il riferimento, dalla forza evocativa delle singole tavole, dalla loro capacità di attrarre, commuovere, colpire l’osservatore e aprire con lui un dialogo.
Partiamo dall’artista, lasciando che sia lui a svelarci la propria storia: “La matita è l’ago della mia bussola con la quale mi muovo nel mio spazio, conosciuto e riconoscibile. Con la matita in mano ho, per anni, lavorato da architetto alle Ferrovie dello Stato, progettando numerosi restyling di stazioni per lo più nella parte orientale della Sicilia: Taormina, Catania, Siracusa, Messina.

E’ mia la ristrutturazione a Palermo del palazzo, sede compartimentale delle Ferrovie dello Stato; sono mie le nuove fermate nel messinese di Tusa e Giampilieri. Ho lasciato una mia piccola impronta nella mobilità dell’isola, le mie scelte progettuali accompagnano ogni giorno il transito di tanti viaggiatori. Come artista mi sono chiesto se io possa contribuire alla ricerca di un senso nella vita, che vada oltre l’estetica e la funzionalità; se l’arte possa aiutarci a svelare un disegno che giustifichi il soffrire e l’apparente casualità dell’esistenza”.

Antonino Amato è avido lettore e al tempo stesso, in una delle suedeclinazioni d’artista, iconografo: realizza cioè icone nella rigorosa osservanza della tradizione, secondo schemi e proporzioni tramandate
nel tempo, sfruttando questa passione per contemplare – dipingendo – la visione del trascendente. Ciò che è rassicurante nel dipingere il sacro, la meditazione, il farsi tramite di questo mondo di luce e dei
suoi simboli, diventa invece ricerca senza risposte certe quando dalla visione si passa alla ruvida e convulsa scorza della storia. Anche lì, negli eventi, c’è un disegno ma l’accadere lo cela, lo trasforma in
racconto, ne smarrisce il significato più vero. Le tavole in mostra, oltre alcuni disegni di rara bellezza sui rapaci della notte, si legano al mare e alle storie degli uomini che l’hanno vissuto.

Il Moby Dick di Melville

I capodogli di Melville, il Moby Dick albino eponimo del romanzo di balenieri, si mescola all’Orcaferone di Stefano D’Arrigo, mostro immortale degli abissi dell’opera Horcynus Orca. In entrambi l’animale catalizza ogni emozione del protagonista, sono narrazioni di morte, del tentativo eroico di domare e sconfiggere l’ignoto, in un viaggio catartico che porta più all’autodistruzione che alla salvezza.

“Provate – spiega l’Artista – a immaginare la vostra vita, dalle albe agli stanchi tramonti, lo scorrere delle vostre stagioni e il tempo della grazia, della bellezza della gioia, senza il Male. Ma il Male c’è e il capitano Achab crede di aver capito tutto. Lui ha incontrato il Male. Quello con la M maiuscola. Il male assoluto. E d’ora in poi consacrerà la sua vita, per conto dell’umanità ferita, andando a caccia del Male. Perché ora sappiamo chi è e possiamo ucciderlo. Quella che il Capitano cerca non è la vendetta, ma il perseguire di un fine nobile, altissimo: la debellazione del Male dal mondo. In questa epica missione trascina tutto il suo equipaggio. Li ipnotizza li invasa dello stesso Male di cui ora è lui stesso posseduto. Porta la nave e tutto il suo equipaggio alla rovina. Questa storia è una storia morale e non avrebbe senso se non fosse raccontata. Così uno, che chiede d’essere chiamato Ismaele, sopravvive per raccontarlo a noi.

Quello che ho fatto è provare a raccontare la quotidiana lotta degli uomini contro ciò che ritengono sia il male, attraverso la storia vera e comune dei marinai di una baleniera di fine ottocento. Ho disegnato con pignoleria, i luoghi veri o plausibili in cui sono accaduti questi fatti. Ho disegnato quasi fossero dei dagherrotipi, volti e pose di uomini di mare pronti a imbarcarsi su una nave che sarà il loro carro funebre. Volti veri e patetici nella loro presupponenza ma anche nel loro bisogno di dire: io c’ero. Io ci ho provato, ho vissuto e ora non ci sono più”.

Le opere in mostra

Le tavole di Amato non aggrediscono direttamente il tema, sono un riferimento colto, una citazione, un solleticare l’osservatore per coinvolgerlo nel meccanismo della narrazione, per avvicinarlo al contenuto epico del romanzo, dove effettivamente abisso d’acqua e voragini interiori, sangue e sofferenza, lotta e dominio costruiscono il racconto e si fanno parola. La raffigurazione è frontale, senza ombre a macchiare i volti, ogni personaggio incarna il ruolo che il romanzo ha creato per lui: non vi è azione, vi è rimando a un mondo lontano che l’artista sente con veemente e intima attualità. Le tavole sono un rimando, equilibrate e preziose nella costruzione, allusive a una storia che si deve necessariamente conoscere per comprendere il loro significato.

Più dirette, invece, le piccole sculture ceramiche dei cetacei abissali su cui l’oro sembra rimandare ai riflessi di luce attraverso le onde. Il disegno illustra, la scultura emoziona: il mondo degli uomini non è in grado di rispondere al grandeinterrogativo sull’inestirpabile presenza del male. Ogni disegno ispirato a Melville sembra dialogare – nella mente dell’artista – con l’universo atemporale dell’icona. Da un lato c’è lo sguardo sul trascendente, dall’altro i sedimenti della storia, fatti di parole, di volti, di frasi. L’assoluto oltre il tempo, il contingente che si consuma nello sforzo vano. Amato sembra già dare una risposta all’interrogativo della sua ricerca: la contemplazione ci permette di sfuggire al Male, nonostante il combatterlo sia un imperativo etico.

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