Gino Sturniolo e Daniele David "dalla parte della stabilizzazione dei lavoratori, sempre"

Gino Sturniolo e Daniele David “dalla parte della stabilizzazione dei lavoratori, sempre”

Gino Sturniolo e Daniele David “dalla parte della stabilizzazione dei lavoratori, sempre”

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domenica 12 Ottobre 2014 - 22:51

Si intitola così la nota firmata dall'ex consigliere comunale di CMdB Gino Sturniolo e dal sindacalista Cgil Daniele David. I due difendono la scelta dell'amministrazione Accorinti sull'avvio della mobilità tra le partecipate per salvare alcuni posti di lavoro.

Ancora dibattito, confronto, critiche. Sta creando non poco scompiglio la decisione dell’amministrazione Accorinti di stabilizzare un’ottantina di lavoratori della schiera degli “ex”: gli ex Feluca, gli ex Cea, gli ex Agrinova, i (quasi) ex Ato3. Tutti pronti a trovare una sistemazione nelle società partecipate del Comune, dopo anni di attese, speranze, promesse non mantenute, battaglie. Questa scelta passa dalla delibera che la giunta Accorinti ha esitato venerdì sera e che da quel momento ha provocato reazioni e contestazioni, soprattutto per il senso politico di un’operazione così sostanziosa, che da un lato dà a 80 persone quelle certezze che hanno inseguito per anni, ma che dall’altro “condona” gli errori della politica di prima artefice del precariato. L’amministrazione Accorinti, attraverso le parole del vicesindaco Guido Signorino, ha difeso a spada tratta la bontà e la portata di questo provvedimento. In campo anche l’ex consigliere di CMdB Gino Sturniolo, che in questa occasione si ritrova dalla parte della “sua” amministrazione, e il sindacalista Cgil Daniele David, colui che è riuscito a portare in porto la difficilissima vertenza degli ex Cea oggi già passati all’Amam.

Gino Sturniolo e Daniele David spostano la riflessione sul piano ideologico, squisitamente politico e inducono ad una riflessione più ampia. “In queste ore, tra i commenti sulla delibera che avvia la mobilità tra le partecipate, è emersa una sorta di insofferenza rispetto al fatto che decine di persone possano ritrovare una loro prospettiva occupazionale e su cui noi invece esprimiamo viva soddisfazione. Non ci convince, infatti, quella ”insofferenza” che, leggendo anche articoli di stampa, sarebbe motivata ora dalla “biografia” dei lavoratori, ora dalla ricaduta finanziaria di questa scelta, ora dalla disoccupazione in cui, invece, resteranno impigliate migliaia di altre persone. Non ci convince perché questa insofferenza non è estranea ad un clima politico e culturale ferocemente antioperaio, che parte dall’alto e che trova la sua degna rappresentazione in un parlamento impegnato a smantellare diritti e tutele per i più deboli, lasciando intatti privilegi, ricchezze e rendite per i più forti.

Tale reazione alla delibera in questione è, dal nostro punto di vista, anche il frutto di tutto questo: di una società fragile, ma sofferente e incattivita da anni di crisi, che cova un rancore sordo, pronto a scagliarsi contro gli ultimi, i più poveri, i più isolati. Non possiamo dimenticare, infatti, che chi governa il paese, ha di fatto scaricato sui lavoratori e su quelle (poche) norme che ancora li proteggono dagli abusi datoriali, le responsabilità di questo disastro economico.

Anche solo qualche anno fa la collettività avrebbe respinto ancora più sdegnatamente questa incredibile mistificazione, che fa di una tutela dal licenziamento senza motivo l’origine dei mancati investimenti. Ma c’è la crisi, e mai come in questi momenti, le idee dominanti sono quelle delle classi dominanti. Milioni di licenziamenti, miliardi di ore di cassa integrazione, precarietà di tutti i tipi: ma nessuna domanda, nessun pensiero critico. C’è la crisi, adesso. Non si parla del “prima”. Di quando la crisi è stata preparata e alimentata dal capitalismo italiano, da quella stampa che ne esaltava la sua capacità di “intrapresa”, dai governi di centro-destra e centro-sinistra che blateravano sulle potenzialità della flessibilità, sulla bellezza del poter finalmente passare da un lavoro all’altro, sul nostro straordinario tessuto produttivo: “piccolo è bello”, si diceva. E tutti ad applaudire la centralità dell’impresa, fosse anche una fabbrichetta in un sottoscala. La crisi, invece, adesso svela che la flessibilità è solo servita a bloccare i salari italiani (tra i più bassi d’Europa dopo la Grecia), che uscendo dal posto fisso si precipita solo nel baratro della disoccupazione, che la piccola impresa è stata travolta dalla crisi per manifesta incapacità, che la centralità delle imprese è rimasta solo nell’evasione fiscale e nella corruzione, e che il sottoscala – dove c’era la fabbrichetta – è stato allagato dall’alluvione causata dalla speculazione edilizia (magari avviata dal titolare della fabbrichetta).

Non sorprendono quindi gli attacchi ai lavoratori, siano neoassunti o perché non ancora sul punto di essere licenziati. Soprattutto quando questi attacchi giungono dall’alto, dagli scranni del parlamento (e dei ministeri), dall’oscurità di qualche Loggia, dalla plastificata asetticità di qualche redazione o dallo Yacht di qualche imprenditore. Risulta inaccettabile invece vedere che, per attaccare la classe lavoratrice, si utilizzino le condizioni di vita dei disoccupati, dei precari o dei reietti della società: perché sono il prodotto di una colossale espropriazione di ricchezza ai loro danni e proprio ad opera di chi adesso, per “salvare il paese” chiede tagli al welfare, ai salari e ai diritti.

Qui, nella periferia dell’impero il dramma occupazionale non si risolve continuando a non assumere nessuno, ma attraverso un piano straordinario per l’occupazione, che prenda la ricchezza là dove si trova (per esempio dai grandi patrimoni immobiliari e dalle rendite private) e la investa sul territorio, sulla ricostruzione materiale e morale di questa città e sul diritto al futuro per tutte e tutti”.

6 commenti

  1. Mi domando spesso, anzi sempre, cos’abbiano in testa questi signori quando blaterano di capitalismo all’italiana: un luogo dove tasse (TTR al 68%), spesa pubblica (quasi 50% del PIL, considerata al netto degli interessi) e debito (2100mld di euro) non fanno altro che aumentare da 30 anni a questa parte, il capitalismo – quello sano, non questo “clientelare” – che era nato a seguito dei disastri della seconda guerra mondiale è stato letteralmente distrutto a seguito delle “conquiste” post-sessantottine.

    Mi domando, dicevo, con quali occhiali questi signori guardino la realtà. Perché cianciare di capitalismo in un paese, e peggio in una città dove ormai si vive di “pubblico” – posto che non esiste più nemmeno una industria come si deve -, che ha sempre flirtato col socialismo reale, fa letteralmente cadere le braccia.

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  2. Mi domando spesso, anzi sempre, cos’abbiano in testa questi signori quando blaterano di capitalismo all’italiana: un luogo dove tasse (TTR al 68%), spesa pubblica (quasi 50% del PIL, considerata al netto degli interessi) e debito (2100mld di euro) non fanno altro che aumentare da 30 anni a questa parte, il capitalismo – quello sano, non questo “clientelare” – che era nato a seguito dei disastri della seconda guerra mondiale è stato letteralmente distrutto a seguito delle “conquiste” post-sessantottine.

    Mi domando, dicevo, con quali occhiali questi signori guardino la realtà. Perché cianciare di capitalismo in un paese, e peggio in una città dove ormai si vive di “pubblico” – posto che non esiste più nemmeno una industria come si deve -, che ha sempre flirtato col socialismo reale, fa letteralmente cadere le braccia.

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  3. Gli enti pubblici per assumere le persone devono fare i concorsi.
    Invece sono decenni che andiamo avanti con questo sistema: prima l’amico dell’amico entra per vie traverse in una cooperativa o qualcosa di simile che prende lavori dal comune.
    Tiriamo avanti qualche anno così e poi lo dobbiamo assumere.
    E se non sei amico dell’amico, se non vuoi vendere il tuo voto, se non vuoi strisciare ai piedi del politico di turno, se non vuoi pagare nessuno per un tuo diritto, non hai speranza.
    Adesso addirittura colleghiamo questo sistema all’art18. Ma non dite cavolate.

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  4. Gli enti pubblici per assumere le persone devono fare i concorsi.
    Invece sono decenni che andiamo avanti con questo sistema: prima l’amico dell’amico entra per vie traverse in una cooperativa o qualcosa di simile che prende lavori dal comune.
    Tiriamo avanti qualche anno così e poi lo dobbiamo assumere.
    E se non sei amico dell’amico, se non vuoi vendere il tuo voto, se non vuoi strisciare ai piedi del politico di turno, se non vuoi pagare nessuno per un tuo diritto, non hai speranza.
    Adesso addirittura colleghiamo questo sistema all’art18. Ma non dite cavolate.

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  5. Bravissimi Sturniolo e David.
    Loro sì che sanno individuare i lavoratori che in quanto tali debbono essere contrattualizzati a tempo indeterminato senza perdere ulteriore tempo, perchè senza la loro infinita professionalità le sanissime aziende partecipate non potranno più andare avanti.
    Non dimenticate di riconoscere qualifiche adeguate alla loro scienza.
    Mi sorge un dubbio che Sturniolo e David non sappiano cosa vuol dire la parola “lavoro”, comunque va bene lo stesso.

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  6. Bravissimi Sturniolo e David.
    Loro sì che sanno individuare i lavoratori che in quanto tali debbono essere contrattualizzati a tempo indeterminato senza perdere ulteriore tempo, perchè senza la loro infinita professionalità le sanissime aziende partecipate non potranno più andare avanti.
    Non dimenticate di riconoscere qualifiche adeguate alla loro scienza.
    Mi sorge un dubbio che Sturniolo e David non sappiano cosa vuol dire la parola “lavoro”, comunque va bene lo stesso.

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