"The counselor", il procuratore

“The counselor”, il procuratore

Tosi Siragusa

“The counselor”, il procuratore

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mercoledì 29 Gennaio 2014 - 08:25

Tutti i ruoli sono in realtà provocatori ed eccessivi … i personaggi di rilievo mossi solo dall’avidità, mentre attorno si vive di stenti e tutto precipita per la brama di pochi, intenti ad accumulare ricchezza nelle sue varie forme, per ottenere in cambio amore e rispetto, che sono solo di facciata

Oggi non siamo qui ad elogiare … il thriller in recensione, diretto da Ridley Scott (solitamente grande) è tratto da una sceneggiatura originale del texano Cormac Mc Carthy (grande autore contemporaneo, già acclamato in “Non è un paese per vecchi” e “La strada”), con un cast all-star, a cominciare dal protagonista, reso dal bellissimo Michael Fassbender, nel ruolo di un ingenuo avvocato, che cede alla tentazione di entrare nel losco mondo delle sostanze stupefacenti e nel giro dello spaccio fra Messico e Stati Uniti, a scopo di facili guadagni, convinto, a torto, di poterne uscire in qualunque momento …. Vi è poi il camaleontico Javier Bardem, nei panni di Wastray, un estroso ed ipercolorato proprietario di night club, amico del procuratore, che introduce nel giro… E ancora … Brad Pitt, che impersona un ambiguo personaggio invischiato nella rete… fino a Penelope Cruz, nelle vesti di Laura, fidanzata-feticcio del procuratore e, a sua insaputa, cacciata nei guai dal suo uomo … ed a Cameron Diaz, che impersona una certa Malkina, femme fatale, ultra-sexi, ma anche sociopatica e folle oltre misura.

L’assoluta creduloneria del procuratore scatenerà una serie di eventi, che porteranno lui e la sua donna alla rovina, in quanto l’“affare” sfuggirà totalmente al suo controllo, finendo per stritolare tutto il suo universo.

Trattasi di una storia estremamente cinica, che colloca il male al centro del sistema, disegnando la realtà e rappresentandola come una sorta di arena, in cui si entra aspettando di perdere e tutto appare avvolto in un nichilismo raggelante.

Si intuisce il tentativo di stimolare grandi domande, del tipo … quale può definirsi la cultura del male? ed ancora … quali sono le conseguenze imprevedibili delle nostre scelte? Si esplorano la fragilità umane … i dialoghi sono sempre serrati, le parole taglienti … lo humor nerissimo … i personaggi forzatamente eccessivi e tutti dipinti quali pedine di un gioco in cui non è prevista salvezza … la violenza è insopportabile, con decapitazioni e mutilazioni a go-go.

Il procuratore un po’ tonto-bello da togliere il fiato (in quanto rappresentato da un oggetto di desiderio planetario, che è anche uno dei più famosi attori in circolazione), del quale non è mai pronunciato il nome e che in scena piange ripetutamente, non risulta in complesso credibile, con quelle espressioni, sia mimiche, che verbali, troppo monocordi.

Tutti i ruoli sono in realtà provocatori ed eccessivi … i personaggi di rilievo mossi solo dall’avidità, mentre attorno si vive di stenti e tutto precipita per la brama di pochi, intenti ad accumulare ricchezza nelle sue varie forme, per ottenere in cambio amore e rispetto, che sono solo di facciata.

Fotografia e scenografia si possono definire discrete, con effetti speciali che rendono in modo fin troppo verosimile quel clima quasi surreale, sottolineato da musiche a tratti ossessive.

Pur con la direzione di uno dei più grandi registi viventi, basata su uno script riferibile ad uno dei più celebri romanzieri USA, nel lungometraggio che, come sopra riportato, mette insieme una girandola di star, elementi questi, tutti che dovrebbero portare a vincere la partita, si riesce, invece, solo a giocare più o meno bene, senza alcun trionfo.

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