Siamo al punto di non ritorno: un’azienda ridotta allo sfascio da chi per anni le ha voltato le spalle

Siamo al punto di non ritorno: un’azienda ridotta allo sfascio da chi per anni le ha voltato le spalle

Siamo al punto di non ritorno: un’azienda ridotta allo sfascio da chi per anni le ha voltato le spalle

mercoledì 01 Dicembre 2010 - 14:43

Tutti hanno approfittato delle debolezze dell’Atm, dalla politica al mondo sindacale. Oggi i nodi vengono al pettine, ma i responsabili devono darne conto ad una città che non conosce il significato di “trasporto pubblico locale”

I nodi vengono al pettine. Non è forse originale utilizzare frasi fatte, ma si addice alla perfezione al momento storico che sta vivendo l’Atm. Ossia l’azienda pubblica che, numeri alla mano, dà da mangiare alla quantità maggiore di famiglie messinesi. Quel dato, 670 dipendenti, dice tutto, non solo sull’importanza dell’argomento, sotto gli occhi di tutti, ma anche su come e perché si sia giunti a questo punto. L’Atm è stata utilizzata alla stessa stregua di una donna di mal’affare: tutti l’hanno usata, sfruttata, ne hanno goduto, e poi l’hanno abbandonata, le hanno voltato le spalle. Ignorandone le richieste d’aiuto. Più volte si è detto che la politica ha enormi responsabilità su quanto accaduto all’interno di quell’azienda. Vero, verissimo. Soprattutto se nella politica in senso lato si vuole includere anche quella che governa e muove le fila dei sindacati, a prescindere da questa o quella sigla. Tutti ci hanno messo mani, nessuno ha fatto qualcosa per evitare il disastro. Tutti hanno alimentato questo mostro, disinteressandosi di quelle che sarebbero state le ovvie conseguenze.

Ci sono dei dati di fatto. Uno di questi è che proprietario al cento per cento dell’Atm è il Comune di Messina. Un particolare non irrilevante. Il Comune è il papà che ha dato la vita a questa creatura, l’ha messa al mondo, l’ha fatta crescere, l’ha fatta “ingrassare”, le ha messo in mano quelle che avrebbero potuto essere ricchezze senza darle gli strumenti affinché si rivelassero tali. E quando questa creatura le ricchezze ha finito per sperperarle, con la complicità colpevole di tutti, il papà ha voltato le spalle al figliol prodigo che tornava a casa per chiedere aiuto. E’ accaduto per tutti questi anni, almeno da undici, stando alle carte del terrificante bilancio 2009. L’Atm-figliol prodigo accumulava perdite, il Comune-papà aveva l’obbligo (non morale, sia chiaro, ma dettato dalla legge) di ripianarle. Chiedendone conto, ci mancherebbe, accertandone le responsabilità. Mettendo in atto azioni forti, se fosse stato il caso. Invece la reazione è stata la più inaccettabile, la più inutile, la più dannosa. Il Comune-padre ha bellamente ignorato l’Atm-figliol prodigo. Contribuendo ad alimentare lo sfascio.

Una potenziale carta vincente come la tranvia si è trasformata in una zavorra insostenibile. A nuovi, inevitabili costi sono corrisposte meno entrate, e questo perché la politica locale ha dimostrato tutta la sua atavica debolezza al momento di battere i pugni a Palermo per chiedere che anche il chilometraggio del tram, come legge vuole, venisse riconosciuto e pagato. Se ne sono accorti oggi, troppo tardi. Questo, però, non ha negato alla politica di disporre dell’Atm come meglio intendeva. Con consigli d’amministrazione pletorici che rispondevano ai dettami del padre ma dimenticavano quale fosse il bene del figlio. Con infornate di assunzioni, vedi gli ausiliari del traffico, che hanno riempito uno stomaco che era già sul punto di esplodere. Dall’interno, al tempo stesso, i sindacati facevano il bello e il cattivo tempo, s’infilavano con abile maestria e incontrollata destrezza tra le maglie di una pianta organica mai esistita, e per questo terreno fertile di promozioni facili. Così mentre gli uffici si popolavano, le strade si svuotavano. Una cinquantina di autobus e anche meno per una città da 250 mila abitanti sono una vergogna inenarrabile, specchio fedele di un’azienda dove s’è pensato a tutto, tranne al fatto che il fine ultimo dovesse essere il trasporto pubblico locale, un servizio essenziale oltre che sociale e per questo, per sua natura, poco remunerativo. Poteva essere remunerativa l’officina, se qualcuno avesse pensato a cosa farne. Potevano essere remunerativi i parcheggi (il Cavallotti), se qualcuno vi avesse applicato una politica aziendale degna di questo nome, con la beffa che oggi il Cavallotti, fonte di perdite anziché di guadagni, è stato messo all’asta dal Comune-papà.

Comune-papà che oggi si trova alla porta questo figliol prodigo che per l’ultima volta torna alla casa natale, di fronte però al bivio finale: vita o morte. Comune-papà che a sua volta ha potuto continuare a sopravvivere evitando il baratro del dissesto finanziario anche e soprattutto ignorando le perdite della sua prole, Atm in testa ovviamente. E che oggi per mantenere in vita questo figliol prodigo deve mettere a rischio il proprio futuro di ente “sano”. Non basterà, in questo caso, la medaglietta del rispetto del patto di stabilità. Perché è arrivato il momento che qualcuno spieghi come sia possibile considerare bilanci “veri” quelli che il Comune ha presentato e approvato in tutti questi anni, senza che dell’Atm ci fosse traccia. A segni invertiti, è come fare una dichiarazione dei redditi senza riportare entrate ottenute in nero. Quella dichiarazione dei redditi verrebbe considerata falsa, e il Fisco ci starebbe alle calcagna. Oggi la magistratura indaga sull’Atm, e indagando sull’Atm inevitabilmente darà un’occhiata anche a Palazzo Zanca, perché per sciogliere un legame tra padre e figlio non è sufficiente che uno ignori l’altro. Qui siamo oltre i ladri di galline che si sono ritrovati con qualche tanica di gasolio in più o qualche barattolo di vernice nelle metaforiche tasche. Qui parliamo di un’azienda pubblica portata allo sfascio da amministratori pubblici che hanno fatto clientela e da un ente altrettanto pubblico che pur contribuendo allo sfascio ha impostato la propria sopravvivenza sul non considerare le conseguenze economiche di quello stesso sfascio. Le cose, alla fine, sono più semplici di quanto si voglia far credere. E oggi siamo al punto di non ritorno. Di cui qualcuno, alla fine, dovrà rispondere di fronte ad una città che non conosce il vero significato della definizione “trasporto pubblico locale”.

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