La grande opera tra l'Italia e l'Ue dopo l’approvazione governativa dei Motivi imperativi di rilevante interesse pubblico
di Nicola Bozzo, avvocato
A seguito dell’approvazione da parte del governo del report cosiddetto Iropi (Motivi imperativi di rilevante interesse pubblico) si apre un nuovo scenario. Innanzitutto, non c’è da stupirsi per il fatto che il governo abbia deciso di deliberare in sede di Consiglio dei ministri sulle presunte ragioni di preminente interesse pubblico che giustificherebbero la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Avevamo già anticipato che, in virtù della legge n. 400 del 1988 (non a caso citata all’inizio del report Iropi), in presenza
dell’impasse procedimentale dato dal conflitto tra le posizioni del ministero delle Infrastrutture e di quello dell’Ambiente, toccava al governo esprimere la sintesi politica e amministrativa in conformità, del resto, al fatto che il Ponte sullo Stretto era stato già inserito, o meglio reinserito nel 2022 negli atti di programmazione relativi alle infrastrutture di interesse prioritario nazionale.
Da questo ne consegue che l’apprezzamento delle ragioni di interesse pubblico era stato in qualche modo fissato a monte della scansione procedurale poi eseguita. Detto questo, le cose non sono affatto così semplici. Sul piano formale è da ritenersi che sicuramente per il diritto interno le misure di compensazione che devono comunque essere adottate in riferimento alle specie prioritarie protette su cui si è arenata la seconda fase della valutazione di incidenza ambientale prevista dalla direttiva europea Habitat, devono essere sottoposte alla valutazione della commissione Via Vas (Valutazione d’impatto ambinentale e Valutazione ambientale strategica).
Serve un parere preventivo della commissione Ue
Poi c’è il nodo europeo. Il governo fa finta di ritenere che sia sufficiente trasmettere alla commissione dell’Unione europea una semplice comunicazione. Diversamente, deve ritenersi che sia necessario un parere preventivo da parte della commissione Ue. Questo si spiega facilmente, ricordando che la direttiva Habitat prevede a questo stato del procedimento una divaricazione. Nel caso si ritenga che l’opera sia giustificata da motivi afferenti alla protezione dell’ambiente, alla salute dell’uomo o alla sicurezza pubblica, in astratto sarebbe necessaria una semplice comunicazione. Viceversa, nel caso in cui, come nella nostra ipotesi, si è in presenza di variegate e ulteriori valutazioni sulla inderogabilità dell’interesse pubblico, è necessario il parere (come accaduto peraltro, recentemente, per il Portogallo e la Germania).
Sicuramente l’attività di accertamento verterà sia sulla praticabilità, in concreto, di soluzioni alternative, sia sull’adeguatezza, secondo i rigidi parametri valutativi codificati dalla stessa Unione europea, sia delle misure di compensazione adottate (per il comitato Invece del ponte manca, nella relazione Iropi, l’indicazione delle soluzioni alternative, n.d.r.).
Il concetto di infrastruttura strategica ha una sua valenza. E non si possono attribuire al ponte altri significati posticci
Qui, però, si rende necessario un ulteriore sguardo. Per quanto riguarda il diritto interno il diritto interno, gli atti di programmazione cui ho fatto riferimento segnano, per così dire, il perimetro e la natura degli interessi che si intendono realizzare. Ciò costituisce un vincolo per tutte le fasi procedimentali successive. Vincolo giuridicamente rilevante che deve orientare, sotto il profilo della razionalità e della motivazione, tutte le fasi in cui si snoda il processo decisionale fino al suo culmine che è dato nel nostro caso dalla delibera di approvazione del Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile).
In sostanza, voglio dire che il concetto di infrastruttura strategica ha una sua portata, una sua autonomia e una sua logica. Per cui non può attribuirsi in maniera postuma e posticcia all’opera qualunque altro significato, qualunque altro senso e qualunque altra finalità eterogenei rispetto alla ragione costitutiva dell’opera stessa, come goffamente è stato fatto proprio nel report Iropi, adducendo ragioni di ogni sorta: dalla siccità al transito delle truppe Nato, quasi non si avesse l’autorevolezza necessaria per legittimare in sé questo intervento infrastrutturale e quindi, tentando di carpire, seguendo un po’ l’aria del tempo la benevolenza dell’Unione europea.
La decisione strategica, nel nostro caso l’attraversamento dello Stretto, non può essere considerata come una sorta di decisione sovrana e intangibile, come lo era in qualche modo, negli ordinamenti ottocenteschi il cosiddetto atto politico (che era sottratto anche al controllo da parte del giudice). Ma, nel corso della sua concretizzazione, l’atto di programmazione si colloca non in un mondo vuoto, ma in un mondo denso da cui emergono ostacoli, dati innanzitutto da principi e valori di rango primario (come l’ambiente, il paesaggio, la salute, la biodiversità) e dunque deve superare la prova della sua sostenibilità in questo mondo denso di realtà materiali, valori, principi, regole, procedimenti. Tutto ciò, ritengo sia mancato.
Prove di inadeguatezza del percorso prescelto tra decreto Salvini e una procedura di valutazione ambientale diluita in 23 anni
Cercando di dare concretezza a quanto detto e applicando il ragionamento al nostro caso, il decreto legge cosiddetto Salvini del 2023 sul rilancio del Ponte sullo Stretto, ci offre spunti notevoli. Per quanto riguarda la valutazione di impatto ambientale, occorre ricordare che la legge prevede espressamente che l’efficacia temporale dell’autorizzazione a un’opera vagliata, appunto, dalla commissione Via, sia di 5 anni. In questo senso la giurisprudenza amministrativa è esplicita e non occorre richiamarla.
Siccome il diavolo si nasconde nei dettagli, per ovviare alla evidenza che la valutazione di impatto ambientale andava rifatta per intero, il decreto fa salvi gli effetti della precedente valutazione di impatto ambientale che era appunto del 2011. Si tratta di una norma, sostanzialmente retroattiva e individuale. Retroattiva, perché si sostituisce alla precedente fattispecie legale che faceva discendere dal decorso dei 5 anni la cessazione/invalidità della precedente valutazione di impatto ambientale. Individuale, perché si riferisce solo al Ponte sullo Stretto. È questo il grimaldello attraverso cui, istituendo un’artificiale continuità del processo decisionale, si permette anche di poter salvare la continuità della concessione e degli appalti. Bisognerebbe veramente verificare se sia compatibile col diritto europeo una procedura di valutazione ambientale diluita in 23 anni.
Ma c’è di più. Mi riferisco alla configurazione giuridica dell’atto di programmazione. Il Ponte sullo Stretto è stato reinserito nella legge di bilancio del 2022 e inserito nel documento di Economia e Finanza in modo conforme alla nuova disciplina in materia di programmazione e progettazione delle infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale dettata dall’articolo 39 del nuovo codice dei contratti pubblici.
Una nuova programmazione
Tuttavia, si ritiene (da parte dei fautori dell’opera) che questa sia una programmazione del tutto confermativa dei vecchi atti di programmazione dei primi anni 2000, ma così non è. Perché, a tacer d’altro, quando nel 2012 col famoso decreto legge Monti si caducano i rapporti contrattuali con la Società Stretto di Messina e col General Contractor e si rinuncia al progetto Ponte, lo si fa attraverso una nuova valutazione comparativa dell’interesse pubblico. Valutazione in base alla quale si va a incidere sull’elemento proprio e specifico dell’atto di programmazione, ossia la sostenibilità finanziaria.
Se volessimo declinarlo nei consueti canoni giuridici, potrebbe dirsi che si tratta di un atto che è estintivo della vecchia programmazione, pertanto la programmazione attuale è del tutto nuova. E, come etimologicamente suggerisce l’espressione “programmazione” in ogni ambito della vita comune, riguarda il futuro, il da farsi, utilizzando il quadro normativo attuale e non la vecchia legge obiettivo già da tempo abrogata. Pensare diversamente significa ritenere che si programma il già avvenuto e cioè la perdurante artificiale validità della valutazione di impatto ambientale, le già avvenute concessioni, i già avvenuti appalti, la già esplicita configurazione dell’opera.
La Conferenza dei servizi sul ponte
Altro aspetto da considerare dentro questo quadro è l’ulteriore previsione derogatoria contenuta nel decreto Ponte sullo Stretto, secondo cui la Conferenza dei servizi ha natura cosiddetta istruttoria. Ricordiamo che la Conferenza dei servizi è il momento organizzativo nel quale tutte le autorità pubbliche, che presiedono alla cura di fondamentali interessi pubblico costituzionali, si pronunciano e si esprimono in ordine a un progetto, rendendo possibile in concreto il famoso bilanciamento tra interessi e valori propri di un’amministrazione pubblica non più gerarchica, ma articolata in una pluralità di centri decisionali che formano una sorta di rete senza un centro prevalente.
Ovviamente, è intuitivo capire che c’è una differenza abissale tra una conferenza decisoria e una conferenza meramente istruttoria. In quella decisoria, i vari soggetti possono, in qualche modo, interdire decisioni unilaterali e sbilanciate; in quella istruttoria (il modulo procedimentale adottato) si ha una sorta di teatro della parola infruttuosa, perché non dotata di adeguata forza, e pertanto, in qualche modo, il procedimento non è altro che un esercizio retorico dell’arbitrarietà del potere. E questo assume particolare importanza perché, nel frattempo, è venuto a maturazione un nuovo e assai complesso quadro regolatorio di matrice in larga parte europea, ma anche internazionale e nazionale (green deal, economia circolare, biodiversità, transizione ecologica ed energetica, etc.) che segna una vera e propria rivoluzione dei principi.
La necessità di elevati standard ambientali
Si pensi al principio di integrazione che, per sommi capi, può intendersi come il superamento della tradizionale separatezza tra il polo della crescita e dello sviluppo quantitativo e lineare, e i presidi di tutela dell’ambiente, inteso, quest’ultimo, in senso generale, perché sappiamo sono plurime e variegate le forme delle sue innumerevoli manifestazioni. In ragione del principio di integrazione, tutte le politiche pubbliche, a prescindere dall’ambito materiale cui si riferiscono, devono essere ex ante vagliate e apprezzate conformemente ad elevati standard di rendimento ambientale. Può dirsi questa una versione ancora più accentuata del paradigma dello sviluppo sostenibile. Non vi è, infatti, più un “prima” occupato dalle politiche di crescita, e un “dopo” in cui si operi il bilanciamento con valori differenti. Ma, dall’inizio, per così dire, opera una “griglia valoriale selettiva” che non ha solo una connotazione difensiva (ossia non bisogna andare oltre un dato limite) ma, in positivo, assegna il raggiungimento di determinati standard. La tanto citata prospettiva dello sviluppo olistico o sistemico, in fondo, si rintraccia dentro questo principio di integrazione.
I principi regolatori del Green Deal
I valori del Green Deal (Patto verde), insomma, diventano principi regolatori che tagliano diagonalmente la separatezza “funzionale” dei vari campi (economico, ambientale, sociale, paesaggistico, energetico, etc.), ma funzionano come una sorta di ordito che riconnette ed unifica, in fondo, mutuando la logica di un ecosistema. Tutto ciò conforma dall’interno la discrezionalità politica, quella amministrativa e quella tecnica, stabilendo nuove gerarchie, nuovi assetti di interesse e nuove relazioni tra polarità conflittuali (appunto, sviluppo versus ambiente) e quindi anche nuovi criteri che orientano il bilanciamento tra interessi.
Alla luce di queste brevi annotazioni, è intuitivo che la Conferenza dei servizi (ma comunque tutto il processo decisionale) doveva costituire il luogo dove questo nuovo assetto e questa nuova gerarchia di principi potesse esprimersi compiutamente, cosicché la pura discrezionalità politica della scelta strategica facesse pienamente i conti con il nuovo verso che il diritto europeo ha impresso con particolare energia
negli ultimi anni. Si è scelta, viceversa, la strada di immunizzare l’opera del 2002 da ogni forma di relazione con tutto ciò che nel frattempo ha preso corpo. È, dunque, incomprensibile che un atto di nuova programmazione debba contenere, in una specie di puzzle normativo, richiami a meccanismi ormai consunti.
Problemi sul regime normativo da applicare al ponte sullo Stretto
Nella relazione di accompagnamento al decreto legge Ponte, si legge: “Si ricorda che il Ponte sullo Stretto di Messina è opera strategica già inserita negli strumenti di programmazione previsti dalla cosiddetta legge obiettivo prima e dal D.Lgs. 163/2006 poi. Pertanto, ai sensi dell’art. 225, commi 10 e 11, del nuovo Codice contratti pubblici (D.Lgs. 36/2023), a tale opera si applica la disciplina speciale da essi richiamata”. Queste norme sono la chiave della pietrificazione delle disposizioni contenute nella legge obiettivo. Per cui si stabilisce un quadro regolatorio separato e distinto per gli interventi infrastrutturali già inseriti negli strumenti di programmazione approvati e per i quali è già stata avviata la procedura di valutazione di impatto ambientale.
Tralasciando ogni altro aspetto, occorrerebbe chiedersi, alla luce di quanto detto sopra, se il Ponte sullo Stretto sia assimilabile alle altre opere infrastrutturali che possano beneficiare di questa norma derogatoria e transitoria. Se ha un senso quanto detto sui profili relativi agli atti di programmazione, per lo meno, a far data dal decreto Monti, non può più ritenersi, a mio modo di vedere, che l’opera
Ponte rivesta la qualità giuridica di opera infrastrutturale strategica (prima della nuova rimodulazione del 2022), perché risulta carente proprio la base legale, il presupposto che ne conferisce la strategicità, ossia la perdurante vigenza dell’atto programmatorio.
Se si vanno a vedere le altre opere strategiche sottoposte a questo regime speciale, nessuna di esse è stata ritenuta, come avvenuto per il Ponte in ragione del decreto Monti, non più di interesse strategico.
Credo che ci sia su questo, ampio materiale per indagare sulla conformità costituzionale ed europea di tali assetti regolativo.
La rete europea Ten-T e il ponte
Per quanto riguarda l’inserimento del progetto Ponte sullo Stretto nel cosiddetto corridoio Ten-T (Reti di Trasporto Trans-europee), relativo cioè ai progetti infrastrutturali di interesse comune europeo sottoposti a una specifica disciplina da ultimo rivisitata, nel 2024, anche qui bisogna sgombrare il campo da numerosi equivoci. Scorrendo la stessa documentazione parlamentare, attraverso cui si coglie la relazione tra Ponte sullo Stretto e rete Ten-T, si può scoprire che nel 2022 lo stesso commissario europeo per le infrastrutture dichiarava che il Ponte sullo Stretto non rientrava ancora nel novero delle infrastrutture considerate di interesse comune. Si trattava di un’idea-progetto per la quale invitava, anzi, il governo italiano a verificarne l’inserimento del progetto nel Pnrr.
Pertanto, appare sorprendente leggere nel documento di finanza pubblica del 2025 che il Ponte sullo Stretto rientra già dal 2011 nel famoso corridoio scandinavo-mediterraneo. Vero è che col nuovo regolamento europeo del 2024, l’attraversamento stabile dello Stretto viene inserito tra le opere infrastrutturali di interesse comune, sarebbe puerile negarlo, però, la normativa comunitaria riguarda progetti che bisogna iniziare, oppure opere già realizzate che devono essere rimodellate, trasformate in conformità con le finalità attuali che l’Ue attraverso le proprie norme di principio, ritiene essenziali.
La ridefinizione delle infrastrutture in armonia con le nuove finalità stabilite dall’Europa
Prima di tutto, la realizzazione o la ridefinizione delle infrastrutture in armonia con il Green Deal, con l’innovazione tecnologica digitale e con la totale novità del quadro geopolitico e geoeconomico che scaturisce in particolare dal conflitto ucraino. Si assiste, quindi, a una singolare divaricazione tra il livello nazionale in cui nel 2023 si pietrifica, come detto, il già avvenuto e il già realizzato, come singolare contenuto di una progettazione che invece guarda al futuro, e il livello europeo che progetta il futuro in stretta relazione con i passaggi di trasformazione epocale a cui stiamo assistendo.
Basta leggere le finalità che il nuovo regolamento Ten-T stabilisce come prioritarie in sede di programmazione, progettazione, realizzazione da parte degli Stati membri delle opere di infrastrutturazione, per cogliere l’esatta consistenza della trasformazione qualitativa che deve sovraintendere alle politiche pubbliche. Faccio un solo esempio. Un ruolo centrale lo rivestono, ad esempio, gli appalti non più intesi come neutri dispositivi di regolazione del mercato concorrenziale, ma come vettori di politiche industriali, cioè di un orientamento agli scopi e alle finalità del denso, nuovo assetto dei principi su cui abbiamo a lungo insistito. Invece qui ci si accontenta della ossificazione di appalti – e quindi di un certo modo di intendere e orientare la domanda pubblica – che appartiene a un altro frangente storico.
Il ponte e l’importanza normativa del fattore tempo
Se intendiamo per ragionevolezza quella razionalità pratica che rifugge dalle astrazioni, dalle categorie, dai concetti che irrigidiscono la realtà (e tra queste l’astrazione della norma giuridica), ne consegue che essa volge lo sguardo alla “natura delle cose”, alla resistenza che il concreto oppone all’astratto. Se il tempo è una delle declinazioni tra le più espressive dell’ordine delle cose, della concretezza che si ribella al dominio delle forme, e anche della forma giuridica, allora il tempo ha quasi un valore normativo, una capacità ordinante. E dunque, alla fine, contraddire questa ragionevolezza può condurre a realizzazioni, come sarebbe per il Ponte, che testimonieranno la loro figura sinistra di anacronistiche parvenze.
Nicola Bozzo

Io credo che l’unica vera finalità strategica sia la consegna della menza con panna con brioche in tempi rapidi. Non si può nel 2025 privare ancora le popolazioni del Nord dello Stretto di questo bene di prima necessità .
Ma a Roma, si rendono conto che, qui a Messina non siamo analfabeti?
Bravo!!!!!!!!!!!!!!!!
Chi avrà la pazienza di leggere fino in fondo questo lunghissimo -e in parte difficile- excursus, forse capirà la differenza tra saper analizzare veramente i problemi, di qualunque natura essi siano, non solo riguardo al ponte come in questo caso, e chi come Salvini & co fanno solo propaganda.
Complimenti Nicola Bozzo.
Complimenti Avvocato Bozzo per lo straordinario chiarissimo commento all’ultimo atto adottato da questo governo ed a tutti gli altri atti strumentali che lo hanno preceduto, nell’intento di ricorrere ad ogni mezzo, forzando e snaturando gli istituti giuridici oltre ogni limite, pur di realizzare questa inutile e immane opera. Una bella lezione di diritto amministrativo! I giuristi azzecca-garbugli redattori di tutti questi testi governativi dovrebbero fare tesoro delle illuminanti sue parole che spiegano benissimo le innumerevoli incongruenze e forzature sin qui poste in essere pur di raggiungere l’obiettivo, distruggere lo Stretto e rendere ancora una volta la vita impossibile ai messinesi ed ai calabresi di Villa San Giovanni e Reggio Calabri. Ma grazie a giuristi competenti come lei ed agli strumenti giurisdizionali e procedurali che il nostro stato di diritto ci mette a disposizione mi auguro che questo rischio possa essere contrastato efficacemente e alla fine scongiurato. Grazie
ma dai che sarà divertente vedere passare tutti i giorni l’esercito avanti e indietro
bellissimo che altro volete
Sinceramente non ho mai creduto al ponte. ma men che mai adesso con i collegamenti aeroportuali. Perchè non portare avanti il nostro aeroporto? Mettere più navi quando necessitano? Le attese agli imbarchi un’ora è un’operazione fatta di proposito. Le FFSS lasciano le navi ferme nel momento di necessità, Salvini non interviene. Anzi. Più navi green ed un porto a Tremestieri da usare 365 giorni l’anno
Certo , UE stanzia 14 Miliardi di euro per il progetto ponte ,per cosa , per risolvere il problema agli imbarcaderi..
Aumentiamo le navi e accorciamo le code .
Incredibile quanta poca informazione si abbia ancora su di un progetto così imponente .