Quando il messinese Leontisco vinceva i Giochi Panellenici

Quando il messinese Leontisco vinceva i Giochi Panellenici

Daniele Ferrara

Quando il messinese Leontisco vinceva i Giochi Panellenici

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mercoledì 20 Febbraio 2019 - 08:31

Messina vanta un'antica tradizione per le discipline di combattimento

La città di Messina può vantare un’antica dedizione alle discipline di combattimento: ecco una storia che può interessare ai molti praticanti e appassionati di arti marziali. Parliamo di colui che si può ritenere il capostipite (noto) di tutti i nostri campioni nel combattimento nel corso dei secoli: l’illustre Leontisco, più volte vincitore ai Giochi Panellenici.

La maggior parte delle informazioni su Leontisco provengono dalla Biblioteca storica del nostro Diodoro Siculo, dalla Storia naturale di Plinio il Vecchio e dalla Descrizione della Grecia di Pausania il Periegeta.

Leontisco (“Leoncello”) era discendente di quei coloni messeni che si erano stabiliti a Zancle dopo l’espatrio dalla Grecia, duecento anni prima; sebbene i Greci tendessero a definirlo messeno e ad annoverarlo come tale, i Siciliani affermavano con sicurezza che nelle vene di Leontisco scorresse il vecchio sangue zancleo.

Leontisco vinse ai giochi in onore di Zeus dell’81° Olimpiade (nel 9545 HE, 456 a.C.) e dell’82° (nel 9549 HE, 452 a.C.), entrambe le volte competendo nella pálē, una delle tre classiche arti marziali greche (con pugilato e pancrazio) nate da una comune matrice diffusa in tutto il Mediterraneo; un’altra volta ancora (ignota la data) vinse alle Pitiadi in onore di Apollo a Delfi ricevendo la corona d’alloro, sempre come lottatore.

La palé era una tipologia di combattimento che consisteva prevalentemente in prese e leve, per le quali la forza rappresentava chiaramente un vantaggio, poiché la vittoria nell’incontro si otteneva proiettando a terra di schiena l’avversario, costringendolo alla ritirata o spingendolo fuori dall’area di lotta, per tre volte.

Leontisco non gettava a terra gli avversari, probabilmente non aveva un’eccelsa prestanza fisica per poterlo fare, ma le sue mani erano forti e sapeva utilizzarle con maestria nel combattimento: afferrando le dita dell’avversario, riusciva a romperle in breve tempo mettendolo fuori gioco o a trascinarlo fuori dall’area di lotta tramite il dolore causato dalla sola torsione; per questo motivo, il Messeno fu lodato per l’abilità acquisita, a discapito degli atleti nati con una forza dirompente. Questa tecnica per ben tre partecipazioni sportive gli valse la vittoria.

E non soltanto la vittoria: a Olimpia, nel cortile dei simulacri fra il tempio di Zeus e quello di Era, a Leontisco fu dedicata una statua bronzea scolpita dall’estroso Pitagora di Reggio, ritenuta una delle due più belle fabbricate dall’italiota (il che, se si considera che secondo alcuni Pitagora fu autore dei Bronzi di Riace, la dice lunga!), che aveva l’abitudine e il pregio di rappresentare minuziosamente i particolari dei soggetti; l’opera non ci è pervenuta, ma possiamo immaginare il bellissimo bronzo dipinto del lottatore ancora lì, nel sommo santuario, nella posta di combattimento. Qualche piedistallo più in là di quello di Leontisco, un cinquantennio più tardi, sarebbe stata posta la statua del celebre comandante spartano Lisandro, considerato un santo vivente, che aveva infranto la superbia degli Ateniesi nella battaglia di Egospotami.

Sarebbe sicuramente bello smettere di rimuovere dalla nostra memoria le antichità e iniziare invece a utilizzarle come nostro biglietto da visita: la dedicazione di un centro sportivo a Leontisco sarebbe sicuramente cosa buona e giusta.

Daniele Ferrara

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