Il verdetto riguarda un caso di presunte carte false per ottenere il beneficio. Come cambia l'orientamento della giurisprudenza
MESSINA – Non c’è reato di falso per ottenere il reddito di cittadinanza se non c’è il dolo. Se cioè il beneficio spetta effettivamente a chi lo ha conseguito, con o senza il falso. Per questo una messinese di 38 anni, accusata di aver dichiarato il falso nella domanda per ottenere l’aiuto di Stato, è stata scagionata.
La sentenza è del giudice monocratico di Messina Alessandra Di Fresco che, accogliendo la tesi dell’avvocato Natale Venuto che assiste la donna, l’ha assolta pienamente.

La giudice ha richiamato una sentenza della Corte di Cassazione del 2023 che mette ordine nella materia, sottolineata dal difensore. Fino al provvedimento di due anni fa anche la Suprema Corte era divisa nell’interpretazione della norma che è tra le principali contestazioni in caso di presunte truffe per ottenere il reddito di cittadinanza, considerando il falso un reato in sé, con o senza dolo specifico. L’orientamento che è alla base della sentenza apri pista messinese, invece, è diverso: il fatto in quanto tale costituisce reato con dolo specifico, non in sé.
Ovvero, se nelle dichiarazioni che si presentano per ottenere il reddito di cittadinanza si omette di dichiarare una determinata circostanza o si dichiara il falso, questo è reato soltanto se il falso è il presupposto dell’ottenimento del beneficio o del beneficio in misura maggiore di quanto spettante.
Nella vicenda specifica la 38enne era stata denunciata dai Carabinieri per aver omesso, nella domanda, l’indicazione del genitore aggregato che era detenuto. Ma in dibattimento il legale ha spiegato e provato con i testimoni che l’indicazione del familiare aggregato era comunque contenuta in altra documentazione allegata e che nella domandina invece non andava indicato perché, non essendo fisicamente convivente, non inficia l’ottenimento del reddito di cittadinanza.
