“Da Sud” e il dossier su Rosarno: «Tutti sapevano, ma nessuno è intervenuto»

“Da Sud” e il dossier su Rosarno: «Tutti sapevano, ma nessuno è intervenuto»

“Da Sud” e il dossier su Rosarno: «Tutti sapevano, ma nessuno è intervenuto»

mercoledì 17 Febbraio 2010 - 15:26

L’associazione prosegue la sua “operazione verità”. Presentato il dossier “Arance insanguinate”

«Tutti conoscevano la “vergogna nazionale” di Rosarno, ma per vent’anni nessuno è intervenuto». Dopo i tragici fatti di gennaio, quando la rivolta disperata dei braccianti africani ha portato prima a una vera e propria guerriglia per le strade del paese, e poi ad un allontanamento in massa senza precedenti nella storia italiana, l’associazione “da Sud” prosegue nella sua “operazione verità”. Lo fa, in questo caso, con il dossier “Arance insanguinate”, presentato al Palazzo della Provincia di Reggio Calabria e consultabile anche sul portale “Stopndrangheta.it”. «Un ampio archivio di articoli e foto- ha spiegato Danilo Chirico- che inchioda alle proprie responsabilità politica locale e nazionale, ma anche gli organi di controllo come Asl e Ispettorato del Lavoro». Come dimostra il volume, infatti, i media nazionali ed anche esteri avevano più volte documentato tutto: lo sfruttamento degli immigrati impiegati nella raccolta delle arance e il ghetto della “Cartiera”, il “caporalato” della ‘ndrangheta e le “cacce al negro” fatte anche per puro divertimento. Non un’altra delle tante “emergenze” italiane, dunque, bensì l’estrema conseguenza di una situazione lasciata a marcire per anni: almeno venti. «I primi servizi Rai- spiega infatti Alessio Magro- risalgono alla fine degli anni ’80, in coincidenza con i primi flussi migratori dal Nord Africa. Fu allora che cominciò lo sfruttamento, ma anche gli episodi di violenza, con le prime vittime nel 1992, due algerini presi a colpi di fucile». Oggi, dopo gli ultimi fatti, riflettori accesi più che mai. Anche se, ad un solo mese di distanza, il consigliere provinciale di Rifondazione Comunista Omar Minniti, denuncia il rischio di un nuovo “oblio”: «L’attenzione sta calando, mentre nel frattempo gli africani tornano nella Piana. Dopo quei terribili giorni, però, nessuno potrà far finta di non sapere».

Le radici della “rivolta”. Un quadro complesso, com’è noto, quello maturato nella Piana di Gioia Tauro come in altre zone agricole del Sud Italia. Analizza le ragioni economiche il docente di sociologia Tonino Perna: «Lo sfruttamento degli immigrati ci sarebbe anche senza la ‘ndrangheta, perché dipende da una precisa struttura sociale che porta alla guerra tra poveri. L’unica soluzione è creare un mercato più equo, contro lo sfruttamento capitalistico». Pesante, ad ogni modo, il ruolo della ‘ndrangheta, interessata a vario titolo alla raccolta degli agrumi e sempre pronta a strumentalizzare e cavalcare gli “umori” della folla. Ecco che lo stesso Magro stabilisce un punto fermo: «Rosarno non è certamente un paese razzista, ma è altrettanto vero che è un paese fermamente in mano alla ‘ndrangheta, che tutto controlla e tutto decide. In questo senso, con la decisione senza precedenti del Governo di “deportare” in massa gli africani da Rosarno, la ‘ndrangheta ha ottenuto di fatto una vittoria».

La Calabria che non si arrende. In mezzo, come sempre, la gente onesta, peraltro in un territorio che ha sempre conosciuto grandi battaglie di impegno civile. Tra i protagonisti più recenti, l’ex sindaco comunista della “primavera” rosarnese Peppino Lavorato, che durante la presentazione ha ricordato: «Dal ’94 in poi, ci siamo sforzati di stabilire nuove relazioni di ascolto e solidarietà, coinvolgendo i migranti nella vita pubblica del paese. E la gente ha risposto, a conferma che quando si avverte l’appoggio delle istituzioni, si ha meno paura a ribellarsi alla ‘ndrangheta». Oggi, un percorso che si rimette in moto, anche grazie allo straordinario esempio dato dagli stessi africani con la “prima rivolta” di fine 2008, e la contestuale denuncia alle autorità dei propri aguzzini. Mentre la società civile calabrese, dopo i recenti fatti, sembra avere un nuovo sussulto d’orgoglio. Lo ricorda Francesca Chiappetta, co-promotrice di un “No Mafia Day” partito spontaneamente dal web e tenutosi lo scorso 23 gennaio a Rosarno: «Abbiamo coinvolto soprattutto gli studenti delle scuole della Piana, perché è dai giovani che bisogna ripartire». Chiede invece uno scatto in più, per non arrivare a un “punto morto”, Mario Congiusta, figlio dell’imprenditore vittima di mafia Gianluca: «Non serve solo manifestare, occorre andare ad applaudire i magistrati di fronte alle Questure quando c’è qualche arresto, urlando addosso ai mafiosi come succede in Sicilia».

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