Si è tenuto ieri un consiglio comunale aperto, al quale hanno partecipato i rappresentanti dell’azienda, gli ambientalisti della valle del Mela e gli ordini professionali. Nel dibattito sono stati affrontati soprattutto i temi dell’impatto ambientale del progetto e delle sue ricadute occupazioni
In un consiglio comunale al centro delle polemiche per la sua presunta inutilità, si è tenuto a Milazzo il dibattito tra i rappresentanti dell’azienda A2A, le associazioni ambientaliste e gli ordini professionali del territorio (assente il sindaco Giovanni Formica). Tema: la riconversione a CSS – Combustibile Solido Secondario – della centrale termoelettrica Edipower. Un investimento da 250 milioni di euro, sgradito però ai cittadini milazzesi e della valle del Mela perché di fatto impianterebbe un inceneritore in un territorio già martoriato dall’industria pesante. Il progetto di riconversione dovrebbe essere attualmente in attesa delle autorizzazioni ambientali previste dalla legge; contro la sua realizzazione, il 27 settembre, è stata indetta una manifestazione che si terrà ad Archi, nella data simbolica dell’anniversario dell’incendio al serbatoio RAM.
Il progetto, spiegato da A2A In consiglio l’azienda ha schierato una folta rappresentanza, ma a parlare è stato soprattutto Giuseppe Monteforte, direttore del reparto ingegneria: “Il nostro progetto è investire sulle rinnovabili, e il CSS vi rientra a tutti gli effetti. Utilizzeremo un CSS conforme alla normativa UNI EN 15359, che sarà reperito e stoccato a circa 200 km di distanza e verrà trasportato su gomma fino alla centrale di San Filippo del Mela. Ad essere riconvertiti saranno solo due impianti, mentre altri due costituiranno la cosiddetta “riserva fredda” e due verranno fermati”. Monteforte ha poi confermato il ridotto impatto ambientale emerso dagli studi, una conclusione banale se si considera che il raffronto è fatto con la situazione del 2013, in cui la centrale Edipower era pienamente operativa; delle differenze nella qualità delle emissioni – e in particolare delle famigerate diossine – si è discusso a lungo nel successivo botta e risposta con le associazioni ambientaliste. Dal punto di vista occupazionale, l’azienda ha poi confermato che, il 22 luglio scorso, è stato raggiunto un accordo con i sindacalisti per il mantenimento di circa 150 unità interne all’azienda, più i lavoratori dell’indotto, ovviamente inclusi nel progetto, per un totale di circa 400 maestranze.
CSS: dove, come, quanto Le domande rivolte all’azienda da ordini professionali e associazioni hanno affrontato tre problemi fondamentali: la quantità di CSS che dovrebbe essere utilizzata, la sua provenienza (locale o globale), la qualità del processo di combustione e le conseguenti modalità di abbattimento delle emissioni. Il primo a parlare è stato Peppe Maimone, presidente ADASC, che ha chiesto dove l’azienda vuole smaltire le ceneri trattenute dai sistemi di abbattimento e dove sarebbe avvenuta la produzione del CSS. Il consigliere Pippo Midili ha precisato la domanda, chiedendo se il centro da cui arriverà il combustibile può accogliere rifiuti anche da lontano o deve comunque raccoglierli sul territorio.
È poi arrivato il turno di Beniamino Ginatempo, di Zero Waste Sicily: “Chiedo all’azienda se le cifre sulla quantità di CSS da bruciare siano esatte, perché mi sembra irrealistico che un impianto possa bruciare da solo 500 mila tonnellate, la metà del CSS che la Sicilia intera produrrebbe se la percentuale di differenziata fosse al 65%, obiettivo previsto dalle normative europee; sempre ammesso che termovalorizzazione e differenziata spinta siano compatibili visto che, in teoria, entrambe necessitano delle stesse materie prime. Vorrei poi evidenziare il circuito vizioso per cui il CSS, essendo un rifiuto, viene pagato più volte dai cittadini: per il conferimento in discarica, per la produzione del combustibile, per i soldi versati alle aziende che lo smaltiscono e per gli incentivi previsti a causa della truffa mediatica per cui dal CSS si ricaverebbe energia pulita e rinnovabile. Vorrei infine delucidazioni sulle temperature del processo di combustione, perché sappiamo che, se a determinate temperature la diossina si “spezza”, può comunque legarsi in un secondo momento a temperature più basse. Non è affatto assicurato, dunque, il suo corretto abbattimento. E tutto il nostro discorso è frutto dell’aberrazione per cui i rifiuti, legalmente, si possono “termovalorizzare”. Ginatempo ha citato anche le numerose risoluzioni del parlamento europeo che vanno in direzione del superamento della termovalorizzazione, in favore di un’economia circolare. Altri interventi – tra cui quello del presidente di Legambiente Tirreno, Pippo Ruggeri – hanno ribadito i temi principali.
Al primo “round” di domande, l’azienda ha risposto: “Sul tema delle ceneri e degli altri rifiuti post-produzione, verranno smaltiti come prevede la legge. Non sono ancora stati individuati i punti esatti, anche perché i tempi di realizzazione del progetto consentono di aspettare un’evoluzione del tessuto industriale più funzionale alla riconversione. Il trasporto avverrà su gomma, con una media di 9 mezzi l’ora per 10 ore al giorno, tranne il sabato. La convivenza tra termovalorizzazione e differenziata spinta è stata già sperimentata dalla nostra azienda in diverse parti d’Italia, e non crea alcuna conflittualità: costituisce anzi un valido strumento a completamento di una differenziata efficiente e radicata. Tutta Europa impiega la termovalorizzazione, e la Danimarca prevede addirittura di emanciparsi dai combustibili fossili grazie a un circuito – virtuoso, però – in cui la termovalorizzazione costituisce l’ultima, ma efficace possibilità”.
Un’altra perplessità ha riguardato la tipologia di CSS che verrà utilizzata: “Esistono 125 categorie di CSS” – spiega ancora Ginatempo – “e solo alcune sono ammesse dal decreto Clini. Il potere calorifico indicato non mi sembra coerente con quello delle categorie valide. C’è un percorso previsto dallo stesso decreto, che prevede l’analisi per un anno di 10 lotti di combustibile, poiché questo varia in base ai rifiuti che lo compongono. Vigileremo anche su questo”. Alla contestazione, l’azienda ha replicato rimandando ai dettagli tecnici del progetto.
Le diossine Un capitolo a parte merita il discorso sulle diossine, ampiamente trattato nel dibattito. “Se è vero che, tra le emissioni del termovalorizzatore, avremo le diossine” – continua Monteforte – “dobbiamo però specificare che le quantità emesse saranno ampiamente al di sotto dei limiti di legge, grazie appunto ai processi utilizzati: la diossina può riformarsi, certo, ma le nostre emissioni sono misurate al camino, per cui non possono esserci differenze significative. Per quel che riguarda le ricadute al suolo ci risulta che, in trent’anni di attività, nei primi trenta cm di terreno si accumuleranno diossine con valori 680 volte inferiori ai limiti di legge previsti per i terreni: quelli pubblici, dove si costruiscono scuole e parchi, non quelli industriali. Abbiamo prodotto 650 pagine di studi sull’impatto ambientale della centrale, e sarebbe opportuno che i nostri interlocutori li analizzassero”.
La risposta non ha però soddisfatto le associazioni ambientaliste: “Le diossine sono pericolose soprattutto per la loro persistenza” – ha replicato Maimone – “e sono riconosciute tra le sostanze più cancerogene esistenti. Queste sostanze si andranno ad aggiungere a tutte quelle già emesse dagli impianti della valle, le cui correlazioni sono già state ampiamente dimostrate da studi certificati anche a livello internazionale”.
Sulla questione sanitaria nella valle del Mela è intervenuto anche il presidente del consiglio comunale Franco Nastasi, leggendo un verbale della prefettura nel quale si dichiara che, dall’analisi dell’atlante delle patologie sul territorio dal 2004 al 2011, non emergono anomalie sanitarie. Una conclusione dalla quale il presidente si è affrettato a prendere le distanze: “Sono medico e constato ogni giorno la realtà dei fatti”.
La questione occupazionale Per quanto 400 posti di lavoro possano sembrare pochi, la loro perdita sarebbe un duro colpo non solo per le famiglie coinvolte, ma anche per l’economia della valle, le cui relazioni con la presenza industriale sono state ampiamente dimostrate. Per questo motivo anche i sindacati hanno potuto parlare in consiglio comunale. Per tutti vale l’intervento del sindacalista CGIL Pino Foti: “In questa vicenda i rappresentanti dei lavoratori sono stati accantonati. C’è una certa omertà: non si può dire che i lavoratori sono 400, e non si capisce perché gli ambientalisti disprezzino tanto i lavoratori dell’indotto; non si può dire che il progetto è uno dei pochissimi investimenti al sud, e ne abbiamo disperato bisogno; non si può dire che la salubrità o meno di un impianto viene decisa da organi terzi e imparziali, e non dal sindacato né dagli ambientalisti. Nella valle del Mela il problema sanitario c’è, è innegabile; ma è frutto più di un lungo passato che dei recenti investimenti. Il sindacato, poi, ha probabilmente fatto per l’ambiente più di quanto siano riusciti a fare gli ambientalisti presenti: da un anno e mezzo chiediamo, completamente soli, l’istituzione di un tavolo tecnico permanente in prefettura sul risanamento. Perché, visti i 750 mln di investimenti previsti dalla RAM e da A2A, non si chiede una compartecipazione dello stato per avviare le prime bonifiche? Perché non è possibile affiancare un programma di sviluppo della differenziata e, intanto, procedere con la riconversione? Smantellare il polo industriale della valle del Mela è pura utopia, che può camminare sulle gambe di chi non ha problemi economici; ma per il sindacato esiste solo l’urgenza. I lavoratori e le loro famiglie devono mangiare adesso, non quando la differenziata permetterà la creazione di migliaia di posti di lavoro”.
Del tema si è occupato anche Ginatempo, chiedendo come sia possibile mantenere i livelli occupazionali nonostante la chiusura di due impianti e una importante riduzione di potenza – da 200 a 60 MW – di quelli che verranno riconvertiti a CSS; l’azienda ha spiegato che l’utilizzo del combustibile prevede una diversa gestione, e che alla fine la produzione impiegherà tutte le circa 150 unità previste.
Varie ed eventuali Accanto al dibattito principale si sono presentate una serie di questioni parallele, e qualche siparietto poco edificante. Tra le questioni parallele la principale è quella dei monitoraggi; un argomento affrontato da Davide Fidone, rappresentante del comitato “No inceneritore del Mela”: “ Ovviamente, quando non avverranno i monitoraggi previsti dalla legge – uno ogni quattro mesi, per 8 ore -, l’azienda non ha motivo di rispettare i limiti imposti, e nemmeno le conviene; anch’io, se fossi imprenditore, mi comporterei così”. A2A non ha risposto alle insinuazioni, spiegando che, oltre al monitoraggio previsto dalla legge, le emissioni saranno controllate h24 dai sistemi interni, e i risultati spediti all'Arpa per le verifiche; l’azienda ha poi dichiarato la sua disponibilità a sottoporsi a un sistema di monitoraggio gestito dalla stessa Arpa. Sul tema una precisazione è arrivata da Maimone: “Arpa Sicilia dispone sul territorio di sole due centraline; un sistema che va potenziato”.
Oltre al contributo del rappresentante del comitato, arrivato tra l’altro con grande ritardo – tanto che i punti del suo intervento erano già stati ampiamente dibattuti in precedenza -, l’altra nota negativa è arrivata dal comportamento del presidente del consiglio. Oltre alla sopracitata presa di distanze da un documento ufficiale della prefettura, nell’esercizio del suo ruolo di presidente, Nastasi ha dichiarato durante il dibattito che “la questione occupazionale interessava poco, visto che si discuteva “del futuro dei nostri figli”. Sempre Nastasi ha concluso la seduta consegnando platealmente una banconota da 50 euro, rappresentante il gettone di presenza, alla “ricerca sul cancro”; un gesto in polemica con il consigliere Magistri, che aveva accusato il presidente di aver convocato una seduta inutile: i soggetti coinvolti nel consiglio erano già stati ascoltati dalla II commissione, ragion per cui Magistri aveva parlato di delegittimazione del lavoro compiuto e di ostruzionismo per impedire ai consiglieri di esprimersi sulla questione, visto anche il rinvio decretato ieri e considerato che in uno consiglio comunale aperto non è possibile deliberare. Nastasi si è difeso adducendo motivi di trasparenza; il battibecco è però diventato una questione personale, nell'imbarazzo degli stessi spettatori.
Conclusioni A sintetizzare efficacemente le posizioni ambientaliste è stato il consigliere Antonio Foti, che nel suo intervento ha posto l’accento sui richiami normativi e comunitari che prevedono il superamento della termovalorizzazione entro il 2020, quando il progetto di riconversione Edipower verrà portato a termine nel 2019; Foti ha poi chiesto di potersi esprimere a breve, insieme a tutti gli altri consiglieri comunali, su una questione decisiva per il futuro del territorio, evidenziando però che la responsabilità del voto deve essere soggettiva, e non politica. I rappresentanti di A2A, dal canto loro, hanno risposto a quasi tutte le domande poste, anche se non sempre in maniera esaustiva; i tempi e il livello del dibattito, che non poteva essere puramente tecnico, lo imponevano, ma l’azienda ha anche depositato lo studio sull’impatto ambientale che verrà adesso sottoposto alle autorizzazioni del caso, e che richiederà tempo per un’analisi approfondita.
Giovanni Passalacqua