Sulla proposta in discussione in Parlamento le riserve dell'organizzazione, tra "burocrazia e conflittualità". Case, immobili e condominio in pillole
Case, immobili e condominio in pillole. La rubrica a cura di Confedilizia Messina
Riforma del condominio: il rischio è una casa più cara, più burocratica e più conflittuale
La proposta di riforma della disciplina condominiale tornata in evidenza in questi giorni – la proposta di legge A.C. 2692, presentata l’11 novembre 2025 – viene raccontata come un intervento di “riordino” capace di aumentare trasparenza e correttezza nella gestione dei fabbricati. L’impianto, tuttavia, lascia intravedere criticità molto concrete per la vita quotidiana dei condomìni, specialmente in realtà come Messina, dove il patrimonio edilizio è spesso maturo e le famiglie sono già esposte a rincari e spese straordinarie.
L’idea di fondo è una spinta decisa verso la “professionalizzazione”: requisiti più stringenti per l’amministratore, fino all’obbligo di laurea, e l’istituzione di un elenco nazionale presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, valido anche per la figura del revisore. In astratto, qualità e competenze sono un valore. Il problema nasce quando la qualità viene trasformata in un sistema di accesso e di adempimenti che rischia di ridurre l’offerta di professionisti, irrigidire il mercato e, soprattutto, produrre un effetto quasi inevitabile: l’aumento dei costi di gestione, anche nei condomìni che non presentano particolari criticità. Su questo punto non mancano già osservazioni preoccupate da parte di operatori del settore, che leggono nella riforma l’introduzione di nuove incombenze e figure con ricadute economiche dirette sulle famiglie.
Il nodo dei costi emerge ancora più chiaramente con l’introduzione del revisore condominiale come presenza sostanzialmente necessaria oltre una certa soglia numerica (nelle ricostruzioni: oltre 20 condòmini), con compiti di verifica del rendiconto e della contabilità. Anche qui, il punto non è negare l’utilità del controllo, ma chiedersi se sia ragionevole renderlo una componente strutturale e generalizzata della gestione, trasformando un possibile strumento di garanzia in una voce fissa di bilancio. Nei condomìni medi, il rischio è quello di una spirale ben nota: più spese fisse portano più difficoltà nei pagamenti, più difficoltà nei pagamenti portano più tensioni interne e più contenzioso, esattamente ciò che la riforma dichiara di voler ridurre richiamando l’incidenza delle liti condominiali sul contenzioso civile.
Ma la criticità più sensibile – e potenzialmente più dirompente sul piano sociale – riguarda la morosità e il rapporto con i creditori. Si vorrebbe introdurre un meccanismo che consente ai creditori di agire sulle somme del conto corrente condominiale e, in determinate condizioni, di arrivare a coinvolgere anche i condomini in regola, con successivo regresso verso i morosi. È un cambio di prospettiva che, nella pratica, rischia di far percepire la correttezza non come una tutela, ma come un’esposizione: chi versa puntualmente può vedersi “trascinato” nelle conseguenze dell’inadempienza altrui, salvo poi dover intraprendere azioni di recupero che, nei tempi reali della giustizia e con patrimoni spesso incapienti, possono rivelarsi lente e incerte. Non è un caso che parte del dibattito mediatico si sia concentrata proprio su questo profilo, sottolineandone l’impatto sui condomini virtuosi.
Accanto a ciò, la proposta viene associata anche al divieto di pagamenti in contanti e all’obbligo di far transitare tutte le operazioni su un conto intestato al condominio, misura che punta alla tracciabilità. La tracciabilità è un obiettivo condivisibile, ma non può diventare l’alibi per un sistema complessivo in cui, tra nuovi obblighi, nuove certificazioni e nuove figure, si sommano costi e complessità. E qui si innesta un ulteriore elemento: il tema della sicurezza delle parti comuni, che viene rappresentato con verifiche e certificazioni affidate a soggetti specializzati. Anche in questo caso la finalità è ineccepibile; il timore è che, senza un criterio di proporzionalità e senza una modulazione legata al rischio effettivo dell’edificio, si finisca per trasformare la sicurezza in un adempimento standardizzato, con un impatto economico identico per situazioni profondamente diverse.
Dunque, la questione non è “riformare o non riformare”. La questione è come riformare, evitando che il condominio diventi un contenitore di obblighi a carico dei proprietari che già rispettano le regole e già sostengono spese importanti, soprattutto nelle città dove l’edilizia necessita di manutenzione e programmazione. Una riforma equilibrata dovrebbe rafforzare trasparenza e competenze senza moltiplicare costi fissi e senza spostare sui condomini in regola il rischio economico della morosità, perché è proprio lì che si accende il conflitto: quando la regola, anziché proteggere, fa sentire più vulnerabili. (Sebastiano Maio Presidente Confedilizia Messina)
Locazioni abitative, è valido il patto di recesso non scritto?
Il contratto di locazione a uso abitativo, soggetto all’obbligo di forma scritta ai sensi dell’art. 1 della legge 431/1998, deve essere risolto con comunicazione scritta, non potendo, in questo caso, trovare applicazione il principio di libertà delle forme, che vale solamente per i contratti in forma scritta per volontà delle parti e non per quelli per i quali la forma scritta sia prescritta dalla legge “ad substantiam”. Ne consegue che nelle locazioni abitative è nullo il patto di recesso non scritto, non potendo trovare riconoscimento giurisdizionale l’accordo orale tra proprietario ed inquilino (cfr. in punto Cassazione civile, sez. VI, 27/09/ 2017, n. 22647).
È nulla o annullabile la delibera che approva un appalto che interessa anche i balconi di proprietà esclusiva?
La delibera dell’assemblea condominiale con la quale venga approvata la stipula di un contratto di progettazione e di un appalto che riguardi anche beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condòmini (nella specie balconi) è nulla – e non annullabile – per impossibilità dell’oggetto e, per l’effetto, impugnabile dal condomino dissenziente. Qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell’edificio non può, infatti, essere adottata seguendo il percorso decisionale dell’assemblea, ma esige il consenso dei singoli proprietari interessati. —
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