Wagnerismi metallici: la musica geometrica di Melo Mafali

Wagnerismi metallici: la musica geometrica di Melo Mafali

Domenico Colosi

Wagnerismi metallici: la musica geometrica di Melo Mafali

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lunedì 14 Agosto 2017 - 06:05

Intervista al pianista messinese, reduce dalla recente apparizione al Wacken Open Air al fianco di Wolf Hoffmann, storico chitarrista degli Accept

“Più veloce, più pesante, più rumoroso”. Compositore, arrangiatore, pianista e tastierista, il messinese Melo Mafali è reduce dalla partecipazione al Wacken Open Air, la Woodstock del metal che ogni anno richiama nella piccola cittadina tedesca oltre centomila appassionati provenienti da ogni angolo d’Europa. Un happening che sconvolge per quattro giorni ritmi ed abitudini del paesino nelle vicinanze di Amburgo, a tener fede al motto della manifestazione riportato in apertura. Apprezzato turnista per Chaka Khan, Rufus Thomas, Gloria Gaynor, Nena, Eddie Floyd e Bobby Kimball dei Toto, Mafali ha calcato ad inizio agosto uno dei tre maestosi palcoscenici del festival tedesco: “Ho suonato con Wolf Hoffmann, storico chitarrista degli Accept, per il suo progetto solista Headbanger’s Symphony, un incrocio tra la musica classica e il metal che rivisita brani celebri come lo “Scherzo” della Nona di Beethoven o “La notte sul Monte Calvo” di Mussorgsky. Conosco Hoffmann da oltre vent’anni grazie alla comune collaborazione con Dieter Dierks, produttore simbolo del kraut-rock e degli Scorpions più sperimentali, un monumento vivente della musica europea con cui ho realizzato diversi progetti a Berlino negli anni ’90. Lo scorso anno ho arrangiato i pezzi dell’ultimo album degli Accept, da qui l’invito al Wacken Open Air anche nella veste di supervisore della direzione d’orchestra dei nuovi brani”.

Partendo da una formazione classica, sei stato in Italia uno dei pionieri della musica elettronica e sperimentale.

A 17 anni, durante un viaggio a New York, conobbi al Village molti musicisti legati alla Juilliard School: scoprii i migliori fermenti del jazz statunitense e decisi di approfondire queste sonorità una volta tornato in Italia. Alla musica sperimentale mi sono avvicinato grazie ad un minimoog che ebbi fortunatamente in prestito a Messina: mi dilettai a provare nuovi percorsi prima di frequentare la Scuola sperimentale di Musica elettronica di Colonia diretta da Karlheinze Stockhausen, celebre compositore e maestro, tra gli altri, anche di Franco Battiato. In Germania potevo contare su supporti tecnologici avanzatissimi, con piccoli investimenti sulla strumentazione ebbi l’occasione di poter lavorare in studio anche a livello pop e commerciale. Una precisazione è tuttavia doverosa: il pop anni ’80 era molto più vicino alle avanguardie rispetto ad oggi, penso ad esempio al sound raffinato dei primi Depeche Mode. In quel periodo conobbi anche alcuni membri dei Dire Straits e dei CaN, poi decisi di aprire uno studio a Colonia per produrre soprattutto album techno-dance.

Quali sono i musicisti che hanno influito maggiormente sulla tua ricerca espressiva?

Spendo nuovamente il nome di Wolf Hoffmann, decisivo per la scoperta del mondo metal, un genere a mio avviso affine alla musica classica: grazie a lui ho conosciuto musicisti eccellenti, professionisti dotati di grandissima abilità tecnica. Una menzione particolare la merita anche Jaki Liebezit, il batterista dei CaN: una persona molto spirituale che mi ha suggerito quella concezione geometrica della musica che mi guida ancora oggi. Per la mia carriera è stato poi fondamentale l’ascolto di S&M dei Metallica, uno dei primi tentativi pienamente riusciti di incontro tra il metal e la musica classica. Quell’album poteva contare sugli arrangiamenti di un grande direttore d’orchestra come Michael Kamen, che elaborò le tracce ispirato da una sorta di wagnerismo metallico.

Il prossimo 30 agosto la Cooperativa Sinfonietta porterà nuovamente in scena alla Fiera il progetto Aria di Faber.

Lo scorso anno ho realizzato gli arrangiamenti di questo tributo a Fabrizio De Andrè provando a tradurre le sonorità della scuola genovese nell’humus siciliano: ho usato scale tipicamente arabe per ridefinire il percorso di Faber in chiave mediterranea. A breve dovrei inaugurare anche a Messina un progetto che sogno da molto tempo, una scuola di improvvisazione – o di composizione estemporanea – che nascerà in collaborazione con alcune importanti realtà musicali della Germania e della Repubblica Ceca. Voglio dare ai giovani musicisti la possibilità di emanciparsi dalla schematica riproduzione altrui, anche a partire da un semplice giro di Do; ho immaginato di impostare con i nuovi talenti quel lavoro maieutico spesso trascurato dalle scuole tradizionali. A luglio dell’anno prossimo, poi, vorrei organizzare un nuovo tributo a mio fratello Pippo, scomparso ormai da cinque anni, coinvolgendo alcuni tra i migliori musicisti con cui abbiamo avuto l’onore di collaborare nell’arco della nostra carriera.

Come valuti la scena musicale messinese?

In città si respira una nuova primavera, soprattutto nel jazz. In questa direzione penso a musicisti come Luciano Troja e Giovanni Renzo, che hanno condotto negli ultimi anni lavori seminali per le nuove generazioni con grande competenza e rigore. Senza far torto a tanti altri talenti, posso citare anche artisti come Maria Merlino, Deborah Ferraro o Maria Fausta Rizzo, nomi di rilievo nazionale che nobilitano l’intera scena cittadina.

Domenico Colosi

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