“Julieta”, dramma almodovariano senza lacrime

“Julieta”, dramma almodovariano senza lacrime

Tosi Siragusa

“Julieta”, dramma almodovariano senza lacrime

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mercoledì 08 Giugno 2016 - 06:25

Sulla rotta della decima musa: maschere di dolore in quest’opera filmica atipica rispetto ai canoni del regista, “drama seco, sin gritos”. Impressioni a cura di Tosi Siragusa

Drammatico movie tutto al femminile, ove si mescolano gli ingredienti del melò e si toccano tematiche dense quali il rapporto madre/figlia, l’amore, l’odio, la rabbia e il perdono, la morte attraverso passioni, ricordi e rese dei conti ben orchestrati nell’esistenza della professoressa di greco cinquantenne protagonista, che dà il titolo al film. Pedro Almodovar ha scritto e diretto l’opera, già in concorso a Cannes, basata liberamente su tre racconti della grande scrittrice canadese, Alice Munro, spagnolizzando però le location del testo.

Julieta, tornata occasionalmente a Madrid, a seguito di un fortuito incontro dell’amica del cuore della figlia Antia, scopre – e fa scoprire a noi spettatori – che la giovane, che ha azzerato i contatti con lei dal raggiungimento della maggiore età, si è sposata ed ha due figli. Abbandonata l’idea di fuggire dalla città spagnola, ove aveva conosciuto la passione, accantona l’attuale compagno – che si intuisce subito ha in questi anni accettato di non conoscere il suo passato – e si immette in una frenetica ricerca dell’indirizzo di Antia, nella solitudine di un isolato appartamento. Inizia quindi a scrivere alla figlia una lunga lettera, per confessarle quanto era rimasto fra loro segreto e mai rivelato a seguito della tragica morte in mare, durante una tempesta, del grande amore di Julieta e padre di Antia. I toni e le atmosfere filmiche riportano a “Volver” e “Gli abbracci spezzati” e Almodovar ci consegna un dolente personaggio femminile allo stremo, consunto da un beffardo destino di cocenti delusioni e tragedie, che ha attraversato un’esistenza di speranze infrante e che deve ora affrontare i nodi fin lì irrisolti. Opera filmica senza traccia di umorismo, parodia o miscuglio di generi, asciutta, con maschere rese paralizzate dall’afflizione, con il costante controllo delle emozioni. E così le tempestose passioni vorticano tra i campi magnetici della disgrazia, della perdita e della colpa, dell’annosa sofferenza che, calcificatasi, diviene catatonia…..Julieta, abbandonata di colpo dall’amatissima figlia, convive per tanto tempo con una silente prostrazione non riuscendo a comprenderne le motivazioni che verranno alla luce in un flashback di lunga durata, molto ammaliante. L’indiscussa protagonista è interpretata in epoche diverse della vita: l’attrice teatrale Adriana Ugarte è Julieta da giovane, magmatica e bellissima, e Emma Suarez la Julieta “vinta” dell’età più matura ed entrambe sono al loro (riuscito) esordio con il regista spagnolo. Gli altri interpreti – ove Rossy de Palma offre uno splendido cameo nei panni della domestica “grillo parlante” – Inma Cuesta, Dario Grandinetti, Daniel Grao, Michelle Jenner, Nathalie Poza, Pilar Castro, offrono ciascuno un contributo dignitoso ad una complessiva buona resa attoriale. Lo storico collaboratore Alberto Iglesias ha composto e suggestive musiche, il riuscito montaggio si è attestato a Josè Salcedo, e direttore della fotografia è stato un magistrale Jean Claude Larieu.

Il giudizio è ottimo. Il film è attualmente in programmazione presso le sale cittadine e se ne consiglia caldamente la visione, per quel suo essere imperniato del senso dell’antica Tuke greca, il destino, con le sue nemesi che sembrano colpire un po’ tutti i personaggi. E in quest’epoca che banalizza i grandi temi, quali amore e morte, che sono rappresentati in scala ridotta, rispettivamente quali inutili peripezie sentimentali e quale miniatura grottesca dell’esistenza, esser riusciti ad andar contro corrente e già molto davvero.

Tosi Siragusa

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