“Piccole crepe, grossi guai”, dentro il cortile

“Piccole crepe, grossi guai”, dentro il cortile

Tosi Siragusa

“Piccole crepe, grossi guai”, dentro il cortile

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giovedì 24 Marzo 2016 - 23:07

Sulla rotta della decima musa: il Marais parigino e il suo cortile pieno di grazia e compassione. Impressioni a cura di Tosi Siragusa

Il titolo originario di questo splendido corale lungometraggio è pienamente significante: "Dans la Cour", diversamente da quello italiano “Piccole crepe, grossi guai”, che rende falsamente la sostanza filmica, facendo supporre che trattasi di una commedia. Così non è, e l'atmosfera, pur se intervallata da battute di humour tagliente, vira sempre al dramma, la brillante disperazione è la cifra predominante, con sprazzi di magico realismo poetico e le crepe sono più che altro nelle esistenze rappresentate e in quei rapporti inespressi.

Il filmaker mostra sensibilità e delicatezza assolute e traccia un ritratto splendido di Mathilde, una meravigliosa Catherine Deneuve, che è interprete dell'indimenticabile donna di mezza età, di classe, affetta da bipolarismo, infelice e ossessiva, con un'espressione sempre straniata. Il protagonista maschile, l'impeccabile Gustave Kervern, ha abbandonato una vita in cui pareva non avere più emozioni, per rifugiarsi nel condominio, che si rivela un cumulo di follie scomposte, ma quasi sempre umanissime, che il valente cineasta scruta con sguardo compassionevole, attraverso lo stralunato gardien (portiere). Quel cortile è un piccolo universo, ove ognuno vive il proprio personale inferno: troviamo piccole struggenti storie di cadute, più o meno libere, di cose, persone e sentimenti: l'architetto affetto dalla mania di guaire alla luna, il frequentatore di setta esoterica, senza dimora (e con cane al seguito) il promettente calciatore, giocato dalla sorte, tutti personaggi certo poco avvenenti, ma che ispirano umana solidarietà. Féodor Atkine, Pio Marmaï e Michèle Moretti, sono gli altri ottimi interpreti. Il portiere ha una buona parola per tutti, ma è con Mathilde che esprime al meglio la sua empatia, provando a salvarla dalla nera depressione in cui è precipitata, e, quando sembra tutto sia crollato, cede a sua volta alla disperazione, irrimediabilmente. Mathilde non avrà mai il coraggio di chiedere al marito notizie sulla sorte del portiere, suo angelo custode, sapendo che è stata letale. La scena finale mette il focus sul roseto in piena fioritura, simbolo e metafora dell'importanza del passaggio, pur breve, di quell'individuo per gli abitanti del cortile.

Presentato con successo meritato al 64° Festival di Berlino, nella sezione "Berlinale Special", è stato inserito felicemente nella programmazione del Cineforum Don Orione, proiettato nella saletta Fasola: un piccolo gioiello, intriso di dolente poesia (che si è perfettamente incarnata nella struggente lirica di Raymond Carver, letta dal portiere ad un condomino cieco) senza alcuna autocommiserazione. Le musiche, originali, riescono a far percepire allo spettatore ciò che rimarrebbe altrimenti inesprimibile… l'anima segreta dei personaggi.

Tosi Siragusa

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