Simona Sparaco si racconta alla Bonanzinga: un libro pieno di parole per nulla silenziose

Simona Sparaco si racconta alla Bonanzinga: un libro pieno di parole per nulla silenziose

Emanuela Giorgianni

Simona Sparaco si racconta alla Bonanzinga: un libro pieno di parole per nulla silenziose

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martedì 18 Giugno 2019 - 07:57

Un grande incontro a tu per tu tra lettori e scrittore, alla Libreria Bonanzinga, con l’apprezzatissima Simona Sparaco, per la presentazione del suo ultimo romanzo “Nel silenzio delle nostre parole”, già Premio DeA Planeta.

“Quante parole diciamo che sono solo silenzio? Perché vorremmo dirne altre ma non abbiamo il coraggio di dargli voce. Almeno a me è questo che succede, soprattutto con te. E qualche volta il silenzio delle nostre parole si fa così assordante che ho bisogno di una via di fuga”.

Nel silenzio delle nostre parole”, Premio DeA Planeta, è un libro eccezionale, una lettura tutta d’un fiato, piena di forti emozioni e frutto di una sensibilità sottile e profonda. Più che una presentazione del libro, l’incontro con la Sparaco è stato un’uscita tra amici o una vera e propria terapia, come l’autrice l’ha definito più volte. Il merito è di Daniela Bonanzinga e di quello che diverrà un nuovo abituale appuntamento: “Posto d’autore”, incontri che saranno i lettori stessi a moderare con le loro domande, avvalorando il magico legame che si crea tra libro, lettore e scrittore. Domande dirette, che dal libro passano alla vita di tutti e dalla vita di tutti al libro, coinvolgendo, come afferma la Bonanzinga, tanto l’emisfero cognitivo e razionale tanto quello emotivo.

Un incontro ricco di parole per nulla silenziose, grazie soprattutto alla sua autrice, capace di raccontare e raccontarsi da subito, sin dalla prima domanda: perché scrivi e come hai iniziato?

“Scrivo per me stessa, per comunicare con me, per capirmi e affrontare dubbi e paure. Ho iniziato a scrivere quando a 5 anni mi hanno dimenticata in un aeroporto a New York, in pieno stile ‘Mamma ho perso l’aereo’! Era un grande viaggio con amici e parenti ed io ero la più piccola, decidemmo di muoverci con due pullman, uno tutto di grandi e uno tutto di ragazzi, io stavo nel mezzo, mia mamma pensava fossi con mio fratello, mio fratello con mia mamma, fino a quando scendendo si accorsero io non fossi lì. Restai in aeroporto per tre ore, tentai di scappare e mi portarono all’ufficio oggetti smarriti dove, non sapendo comunicare con loro, mi dissero di disegnare. Io, convinta di essere stata abbandonata, disegno un orfanotrofio, dove ero certa sarei finita a breve; stavo raccontando la storia del mio passato, della mia vita e del mio futuro, allora sono diventata una scrittrice. E questo romanzo è permeato di persone che scrivono, come me, per raccontarsi”.

Quella della Sparaco è proprio una storia di legami forti, difficili, ma insostituibili, tratteggiata grazie ad una scrittura che fa venire i brividi in ogni pagina.

Entriamo, da subito, nel vivo della vicenda e nella vita dei protagonisti: è il 23 marzo, ore 23,41, un grosso incendio scoppia in un palazzo di Berlino. È causato dal cortocircuito di un frigo in un appartamento abbandonato, ma le sue fiamme divampano fra i piani, fra le altre abitazioni, incombendo sulla vita, i sogni, le paure e i rimorsi di tutti coloro i quali si troveranno a fronteggiarle.

Da qui la narrazione torna indietro alle 8,52, all’inizio della giornata che avrebbe stravolto le vite dei suoi protagonisti, protagonisti che, capitolo per capitolo, impariamo a conoscere e amare, in tutto il loro coraggio e in tutta la loro fragilità, capaci di renderli veri e umani.

Alice, in Erasmus lontana dalla famiglia e soprattutto da una mamma un po’ pressante e non sempre brava a mostrare la sua tenerezza, che si innamora follemente di Matthias, un ragazzo che la mamma non approverebbe ma che la ama tanto.

Polina, ex ballerina classica, costretta a mettere da parte il suo sogno per una gravidanza non voluta, un figlio che non si sente in grado di accudire, il cui pianto la tormenta. Mentre Hulya, nel negozio di fronte, non riesce proprio a far a meno di pensarla.

Naima, sofferente per Bastien, un figlio che non riesce a riconoscere, che sente estremamente lontano, ma che da tempo non ha il coraggio di dirle qualcosa, sei semplici parole improferibili.

Dalle 23,31, le loro storie separate diventano un’unica storia, tanto nella narrazione quanto nella struttura del libro che la rispecchia, i loro volti si incrociano, i loro nomi sono tutti presenti nelle stesse pagine, senza più capitoli a distinguerli.

Sconosciuti, con vite completamente diverse, si ritroveranno estremamente vicini in quei terribili istanti tra la vita e la morte, capaci di annullare qualsiasi distanza, cancellare ogni paura e far trionfare una sola forza, più potente del fuoco che divampa: l’amore.

Le ore scorrono, le fiamme aumentano e intanto il lettore gira freneticamente le pagine, non può fare a meno di divorarle, vivendole in prima persona, catapultato in quel mondo di cui vuole necessariamente conoscere l’esito finale, l’esito di storie accomunate da un grande filo conduttore, il rapporto madre e figlio, complicato, doloroso, a volte esasperante ma centro dell’amore più forte e smisurato; descritto con la profondità, la semplicità, la dolcezza, il coraggio e la caparbietà che solo una grande mamma può avere.

E proprio come la parola Madre è la parola chiave della puntata dell’Eredità che Alice guarda alla tv, così diventa parola chiave del libro, il suo cuore; e il libro parla spesso di scene madri, quelle scene che cambiano la vita di un individuo, a partire dalle quali tutto si modifica e intorno alle quali tutto gira. Una scena madre sarà quella dell’incendio del palazzo di Berlino e un’altra scena madre è quella da cui il libro trae ispirazione: il rogo della Grenfell Tower di Londra. Un evento che ha colpito la sensibilità di tutti, soprattutto per le tragiche storie di figli e genitori, per la straziante sofferenza del dover dire addio a un figlio restando inermi, incapaci di intervenire in alcun modo per salvarlo. Da un articolo di Massimo Gramellini, compagno della Sparaco, su tale tematica, l’autrice trae l’idea del libro.

“Guardare il telegiornale mi fa stare male, la notizia dell’incendio mi turbò molto, volevo trasformare quell’inquietudine in luce. Mi colpì moltissimo la telefonata di Gloria Trevisan alla mamma, il suo addio disperato, ho conosciuto la mamma di Gloria e ho pensato più volte di non poter scrivere il libro per lei. Ma mi rassicurarono delle sue parole che tenni sempre ben fisse in mente; mi raccontò di essere dentro un tunnel, lei aveva il tunnel del suo dolore, suo marito il suo, il figlio lo stesso, non potevano entrare gli uni nel tunnel degli altri, ma lei andava avanti per la consapevolezza di trovare al suo termine una se stessa nuova, diversa. Allora decisi di distaccarmi da lei, al termine del mio tunnel vidi me con mia mamma, come Alice con la sua. Alice è il personaggio più autobiografico, è la me ventenne, nel suo rapporto con il papà e le passioni condivise, con una mamma severa cui la mattina rispondeva al telefono la mia coinquilina perché io dovevo carburare, la mia mamma che adesso mi dice di trovare nei miei libri tutte le mie parole non dette, imparando a conoscermi sempre di più. E così ho fatto pace con le mie paure e i miei demoni, come capita con tutti i miei libri. Iniziai a documentarmi sugli incendi, so tutto, scoprendo che il grafico di un incendio è lo stesso della struttura in tre atti che ho studiato come sceneggiatrice, per tale motivo questo è il mio libro più cinematografico e ad oggi una grossa casa di produzione vuole farne una serie televisiva” racconta la Sparaco.

Ai lettori viene chiesto quali parole utilizzerebbero per definire il libro, una di quelle è proprio scena madre, mamma, poi luce, rinascita, pregiudizio, famiglia, fuoco. Il libro doveva intitolarsi, inizialmente, proprio scena madre perché i personaggi si scontrano con scene madri che definiranno la loro identità; mamma, la prima parola che diciamo e l’ultima, il cui semplice suono dà conforto; poi luce e rinascita, perché, come spiega Simona Sparaco, il suo non è libro triste, lo scrive durante la gravidanza, con la data del bando coincidente a quella presunta del parto, “era destino, dove mettere qui tutte le mie paure per il grande cambiamento che stavo vivendo, ho finito di scriverlo e due giorni dopo ho partorito”; pregiudizio, perché i personaggi si fraintendono continuamente ma la Sparaco, cambiando di continuo prospettiva, mostra il mondo con gli occhi dei suoi personaggi, trovando tante verità diverse, che solo il dialogo potrebbe far comprendere; famiglia, che deriva da famulus, “servo”, perché famiglia è anche servirsi gli uni con gli altri e fuoco da cui deriva focolare, la stessa fiamma che mette in pericolo ma dà anche calore.

Un libro che, in maniera incisiva, potente, straziante, emozionate in ogni sua parola, mai e per niente silenziosa, racconta l’amore più grande di tutti, quello delle madri, ne racconta la forza e ne mostra il dolore. Un libro che diviene una vera scena madre per i suoi lettori, invita loro a riflettere e cambiare il modo di vedere e vivere le cose, imparando che ogni fine è un inizio, che anche dal dolore più atroce può sorgere qualcosa, che “non c’è morte che non presupponga una rinascita. Imparare a decifrarla può dare un senso a tutto ciò che resta. Persino alla cenere”.

Nel terrore ci si può ritrovare vicino proprio chi appariva più ostile, più lontano; acqua e olio si scoprono a stare insieme benissimo, direbbe la Sparaco; si accentuano le paure, i sogni e rimorsi; solo rischiando di perdere tutto diviene chiaro quanto è possibile fare, si scopre cosa sia l’amore, si esce dal silenzio delle parole per diventare rumorosi, tutto acquista un senso.

Ma il romanzo, più di ogni cosa, denuncia la pericolosità delle parole non dette o del silenzio, invece, di quelle proferite. Parole che è spesso più facile dire ad uno sconosciuto che a chi si ama, parole che, a volte, feriscono o silenzi che, a volte, allontanano, e le più pericolose sono quelle non dette per paura di non essere capiti. Ci chiediamo per tutto il tempo cosa voglia dire Bastien alla madre, senza averne il coraggio; troviamo spesso riferimenti alla Torre di Babele (tema caro all’autrice data la passione che ne ha il papà, “sono cresciuta a pane e Torre di Babele” scherza), quella Torre che Alice e il papà, accomunati dalla passione per l’archeologia, amavano raccontare, per il suo fascino e il suo potere, e proprio una Torre di Babele che brucia appare il palazzo in fiamme della grande metropoli, e come la Torre, centro di tutte le lingue, le parole sono uno strumento potente ma anche rischioso, cui saper dar valore. Per questo la lettura della Sparaco spinge ad interrogarsi, ad alzarsi, ad andare dai propri cari ed urlare loro quanto li si ama, a chiedere di più di loro, dei loro pensieri e delle loro emozioni, come i lettori presenti raccontano di aver fatto al termine della loro lettura; perché la vita può cambiare da un momento all’altro, è rumorosa e frastornante, pretendendo da noi di esserlo ancora di più. “Il libro non è manuale di pronto aiuto alle famiglie, non sarei capace di scriverlo, non sono in grado di dare risposte, ho posto solo le mie domande e le ho lasciate a ciascun lettore per dare loro una risposta diversa” afferma l’autrice.

Insieme a quelle mura brucia il cuore di chi legge, tra le lacrime, i brividi e la pelle d’oca che lo accompagnano dalla prima all’ultima parola, per difendere una consapevolezza importante, la stessa che sua madre cercò di insegnare a Bastien: “mi piacerebbe che anche tu fossi in grado di guardare ai vuoti della vita come a noi ha insegnato la zia Amira. Non solo come a qualcosa che manca. Cerca piuttosto in quei vuoti la tua opportunità di esistere ancora, e in maniera diversa”.

Così ha provato a fare sempre l’autrice, superando ostacoli e difficoltà, motivata dalla sua grandissima passione, quella di diventare scrittrice che ha sempre difeso contro tutto e tutti, “ho sempre detto io farò la scrittrice, vincerò il premio Strega, non l’ho ancora fatto ma ci sono andata vicino! E, in quel momento, quando sono stata finalista dello Strega, mio papà mi disse ‘menomale che non hai mai lasciato perdere’”. Passioni che abbiamo non solo il diritto ma il dovere di seguire e che, per quanto possiamo accantonare, prima o poi avranno la meglio sulla nostra vita, passioni come quella di un giovane sceneggiatore di cui racconta la storia: “dopo anni di insuccessi, senza un soldo e nessun apprezzamento vince l’Oscar e lo dedica ai suoi genitori, alle loro parole durante i suoi momenti di scoraggiamento ‘il tempo speso per una passione non è mai perso’, e a tutte le persone che, come loro, hanno il coraggio di credere ai sogni”.

Il suo libro ha il merito di colmare quei vuoti, calmare quelle paure e cambiare un po’ il nostro modo di vivere. La storia di tante vite diverse che diviene storia di vita. Potente, invasiva, indimenticabile. Così come l’incontro con questa autrice che, nei suoi libri e ai suoi lettori, è capace di lasciare un pezzetto di sé come in pochi sono capaci.

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