Preoccupante la situazione lavorativa di tanti giornalisti precari. Intervento sollecitato dalla messinese Agit
C’è chi lo chiama “Quarto potere”, chi lo definisce “cane da guardia”, altri lo etichettano come “casta”.
Un mondo all’apparenza dorato, quello del giornalismo italiano, che nasconde tra le sue pieghe un sottobosco di veri casi di sfruttamento e di problemi che sono emersi in una interrogazione del senatore Udc Giampiero D’Alia a seguito delle sollecitazioni della neonata e messinese Agit (Associazione Giornalisti Terzo Millennio).
Secondo l’Annuario 2009 dell’Ordine dei giornalisti, oggi esistono in Italia circa 24.000 professionisti e 64.000 pubblicisti regolarmente iscritti all’Albo: oltre 88.000 specialisti, ai quali è affidato dall’articolo 21 della Costituzione il privilegio, ma anche il grande onere di esercitare la libertà/dovere di stampa. Una categoria che dovrebbe poter esercitare liberamente un dovere costituzionalmente garantito ma che è facilmente ricattabile in forza di una situazione occupazionale non altrettanto garantita, determinata da un rigido taglio delle spese da parte degli editori.
«Il problema dello sfruttamento giornalistico – si legge nell’interrogazione di D’Alia – è ormai dilagante. Gli stessi editori, infatti, si avvalgono con sempre maggiore frequenza di personale non autorizzato dalla legge a esercitare la professione, di contratti a termine, di istituti contrattuali inesistenti nella disciplina giornalistica come gli stage, retribuiti e no, e i contratti a progetto, se non di personale senza alcuna tutela contrattuale, pagato anche un euro ad articolo.
In una tale situazione il numero delle cause di lavoro è sensibilmente aumentato in proporzione alle diverse forme di sfruttamento e di ricattabilità; ai giornalisti precari, sfruttati, non resta che scegliere o un lavoro a condizioni economiche e contributive ai limiti della sopravvivenza oppure una domanda di giustizia che però costerà loro l’uscita dal mercato e dal mondo del lavoro per molti anni.
Ma il giornalista che denuncia le condizioni di sfruttamento o comunque avvia una vertenza nei confronti di editori inadempienti, non soltanto vedrà trascorrere un decennio per avere giustizia e veder riconosciuti i propri diritti, ma nel frattempo uscirà dal mercato in quanto considerato “ribelle” e piantagrane. In questo scenario, matura la progressiva perdita di fiducia dei giornalisti verso un sistema che li penalizza sempre più. E coloro che, pur avendo il diritto dalla propria parte, vorrebbero ricorrere alla giustizia ordinaria si arrestano davanti alla lentezza procedurale, che, in molti casi, assume le connotazioni di un deterrente e permette agli editori di beneficiare di un’arma in più. Ad un esercito di centinaia di giornalisti italiani che hanno deciso di intraprendere la medesima via legale tocca avvilirsi nelle pastoie burocratiche di un tribunale del lavoro che non sentenzia ma rinvia di anno in anno con qualche -eccellente- eccezione di noti giornalisti televisivi che, di recente, hanno ottenuto un immediato reintegro e un congruo risarcimento del danno in tempi celeri;
D’Alia scrive direttamente al Presidente del Consiglio ed i Ministri, per sapere quali siano i provvedimenti che vorranno mettere in atto per garantire alla categoria dei giornalisti una condizione professionale con maggiori tutele ed una giustizia più equa e più efficiente.
