“Sogno di una notte a Bicocca”. Convincente e avvincente debutto messinese al Palacultura

“Sogno di una notte a Bicocca”. Convincente e avvincente debutto messinese al Palacultura

Tosi Siragusa

“Sogno di una notte a Bicocca”. Convincente e avvincente debutto messinese al Palacultura

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martedì 27 Luglio 2021 - 09:51

Produzione Teatro mobile di Catania, scritta, diretta e interpretata da Francesca Ferro, con musiche di Massimiliano Pace e direzione dell’allestimento di Alessia Zarcone, nell’ambito del Festival Shakespeariano dello Stretto 2021, a cura dell’artista messinese Daniele Gonciaruk.

Riuscita rassegna, organizzata presso il Palacultura Antonello quanto alla piece “de qua” e allo Shakespeariano “Sogno di una notte di mezza estate”, già andato in scena sotto l’egida dello stesso Gonciaruk; location differenti della nostra città, invece, per lo spettacolo itinerante “Shakespeare Horror story”, che si terrà al Forte San Salvatore dal 28 luglio al 1 agosto, sempre in doppia replica, alle 19,00 e alle 21,00 – e trattasi di un attesissimo ritorno dopo cinque pregresse felici edizioni, e il riscosso successo di quella proposta nel 2019 alla romana Villa Borghese – e per la novella rappresentazione, ”Nudo Shakespeariano”, in programmazione (in prima messinese) presso l’Accademia di Belle Arti, dal 6 all’8 agosto, con repliche sempre alle ore 20,40/ 21,00/21, 20/21, 40/22,00 e 22,20).

Arte teatrale sempre seduttiva e ammaliatrice, in questa quadrilogia, pensata in termini di quadri in correlazione, di certo, ma ove ogni mise en espace è anche in sé compiuta.

Il cast, con composizione come appresso: Francesca Ferro, Agostino Zumbo, Rosario Minardi, Mario Opinato, Giovanni Arezzo, Francesco Maria Attardi, Renny Zapato, Giuseppe Brancato, Giovanni Maugeri, Antonio Marino, Dany Break.

Undici interpreti, tutti abilmente versatili e in parte, per questa corale “mise en scene”, che riproduce una particolare complessa esperienza formativa posta in essere anni addietro, nel lontano 2012, dall’artista Francesca Ferro presso il carcere di Bicocca, nella sua Catania, lavorando con un nutrito gruppetto di detenuti, per trarre poi da quelle circostanze, laboriose e dense, risultanze di c.d. finzione teatrale ,(portata avanti dal 2017 nella città etnea e in altre location siciliane, e presso il teatro Litta di Roma) che artificio di certo non è stata.

E la fattispecie “è mimata” con destrezza dalla Compagnia, riuscendo a coniugare naturalezza e competenza, e soddisfacendo il principio di realità di quell’ambientazione di Casa Circondariale presa a modello.

L’idea e il soggetto, in uno allo script, sono sicuramente il punto di forza della piece, che si è avvalsa, altresì, della ottima resa dei cosiddetti detenuti e della guardia, della presenza attoriale della stessa Ferro, che ha anche vestito i panni della regista, mantenendo per l’intera durata dello spettacolo un’aura di perfetta bontà socio-civile e di impeccabile e consumata bravura nell’interagire, senza cadute e inciampi, con quell’universo difficile composto da dieci monadi, che ab initio, a fatica, hanno potuto solo provare a scambiare qualche cenno fra loro senza accapigliarsi….figurarsi l’addentrarsi nella comprensione dell’opera teatrale da rappresentare, con l’ausilio della bionda artista, in funzione di catartica fatina, abbigliata in azzurro (con vestito svolazzante).

Il crescendo, dall’incipit di rifiuto quasi generalizzato di prestarsi all’operazione, certamente non nelle loro corde, mano a mano – e in questo caso con la progressiva maturazione giustamente richiesta, ha ceduto il passo a concessioni e aperture, fino al perseguimento dell’armonia di gruppo, che ha aperto la strada all’esecuzione della piece, ove ogni contributo personalizzato, costruito gradualmente e faticosamente, si è connesso agli altri in modo coralmente ineccepibile.

Esilaranti alcuni passaggi, soprattutto in ordine alla reazione dei carcerati – con alle spalle terribili delitti, che in apertura ci sono raccontati – alla richiesta di rendere personaggi, declinati al femminile, della arcinota commedia shakespeariana , anche per aderire alla tradizione dell’epoca del testo, che non prevedeva sulla scena interpreti femminili…..il maschilismo e il finto machismo scontati e realisticamente connaturati a quella realtà si sono via via stemperati nell’accettazione di dare al meglio il proprio contributo, riuscendo altresì a mettere a frutto i propri sottesi pensieri e i desideri di libertà, come suggerito dalla regista, con l’ausilio di cappelli e parrucche improbabili…

È questo indubbiamente, cioè la “ratio” della rappresentazione, l’aspetto più costruttivo, l’adesione cioè di ciascuno e di tutti quei soggetti, privati per un tempo lungo della possibilità di autodeterminazione e movimento, al proprio intimo sé, fino a giungere a sentirsi fuori da quelle sbarre costrittive e punitive.

Se l’universo carcerario rappresenta lo spazio-tempo più distante dal mondo onirico, dimensione non contemplata e preclusa, la piece ha l’innegabile merito di aver posto il focus proprio sulla funzione salvifica e catartica del teatro, sottolineando con maestria come, pur in condizioni di deprivazioni fisico-intellettivo-psichiche, ci si possa proiettare in una atmosfera di sogno, ove le verticali sbarre del luogo di pena possono perfino divenire un fresco bosco in una notte d’estate.

Si auspica che lo spettacolo sia rappresentato soprattutto negli Istituti scolastici, in funzione educativa, costituendo esso un’arma di convincente formazione delle coscienze: sarebbe allora il caso di rendere più comprensibile la storia della originale e arcinota Commedia, e trovare un sistema per far giungere meglio i termini in uso, tutti in dialetto catanese, anche a coloro per i quali la comprensione non è così scontata.

Un commento

  1. Agostino Zumbo 27 Luglio 2021 16:49

    Grazie Tosi ❤️

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