Tindari accoglie le Anime Migranti di Ovadia e Incudine, in scena anche Annalisa Canfora

Tindari accoglie le Anime Migranti di Ovadia e Incudine, in scena anche Annalisa Canfora

Al. Ser.

Tindari accoglie le Anime Migranti di Ovadia e Incudine, in scena anche Annalisa Canfora

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giovedì 20 Agosto 2015 - 12:26

I canti della Sicilia "che ha visto partire e ora vede arrivare" reinterpretati da Mario Incudine e Moni Ovadia venerdì 21 agosto al Teatro Greco di Tindari. Canti popolari del mediterraneo e brani di De Luca e Buttitta nelle ballate dei due. una riflessione corale sulla fratellanza fra i popoli, un viaggio narrativo e musicale nella memoria recente e remota per raccontare in musica e parole il dramma quanto mai attuale dell'immigrazione.

Di nuovo insieme Mario Incudine e Moni Ovadia. Il cantautore ennese ed il registra, reduci dal successo de Le Supplici di Siracusa per l'Inda, portano a Tindari l'altro loro lavoro, Anime Migranti. Lo spettacolo riprende i tempi dell'esilio, della migrazione, stesso sfondo della tragedia messa in scena e musicata per l'Inda. Uguale è infatti il teatro, il Mediterraneo che tutti i popoli che vi si affacciano, nei vari millenni hanno attraversato. Uguali sono le ragioni che hanno indotto le genti a spostarsi, abbandonando le proprie case, con lo stesso animo intriso di malinconia, paura, speranza. In Anime Migranti, che andrà in scena venerdì 21 agosto al Teatro Greco, al centro c'è la Sicilia "che ha visto partire, una Sicilia che vede arrivare. Questa è la Sicilia che si è messa a cantare”.

Da Palermo a Tunisi, da New York a Baghdad, la migrazione in questa prospettiva è uno specchio nel quale si riflette la Storia, una tela di occhi che si scambiano sguardi disperati. Le facce dei siciliani sui bastimenti per l’America, così come le braccia laboriose nelle miniere del Belgio che hanno fatto grande l’Europa, somigliano come una goccia d’acqua ai volti degli africani approdati sulle coste dello Stivale. Che siano meridionali in cerca di fortuna oltreoceano o extracomunitari appena sbarcati a Lampedusa, l’unica strada percorribile per le “anime migranti” di ogni tempo e latitudine è la fratellanza degli ultimi, estremo appiglio a cui aggrapparsi per difendere la dignità e il diritto a una vita migliore. Al ritmo delle composizioni di Incudine, uno dei personaggi più rappresentativi della nuova world music italiana, l’opera alterna musica e recitazione, canti e cunti, drammi e sorrisi, svelando al contempo i risvolti seri e quelli umoristici della migrazione.

Moni Ovadia interviene con canti della tradizione sefardita e con letture, storie e poesie di Erri de Luca e Ignazio Buttitta, mentre all’attrice Annalisa Canfora spetta il compito di dare voce alle madri e mogli dei tanti migranti che hanno lasciato la propria terra, ripercorrendo la loro storia attraverso la lettura di lettere inedite. Si parte dal grido di un naufrago africano che invoca la morte in mare piuttosto che il rimpatrio (il brano Salina, con cui Incudine ha vinto il Festival della nuova canzone siciliana), per approdare a Speranza disperata, riflessione sui siciliani in viaggio per le Americhe, e a Sottomare, strumentale dedicato alle anime in viaggio verso destinazioni lontane.

C’è poi la nostalgica Novumunnu, canto d’addio di un migrante alla propria terra madre, lo struggente Lu trenu di lu suli, cunto sulla tragedia di Marcinelle vista dagli occhi della moglie di un minatore siciliano, e quindi Namename, preghiera di chi vuol trovare il coraggio di lasciare la propria terra avara di piogge. Sempri ccà, voce di chi sa che non riuscirà mai a staccarsi dalle proprie radici, è il primo fra i canti che raccontano il profondo attaccamento al proprio paese, come Terra, che esprime la carnalità del Mediterraneo che scorre come sangue nelle vene di chi lo abita, e come Sotto un velo di sabbia, che descrive il dramma degli uomini abbandonati alla morte in un Sud che soffoca i sogni come sabbia nella gola. Note di speranza arrivano da Strati di paci, inno alla fratellanza dei popoli, Tenimi l’occhi aperti, in cui un padre consegna ai figli il futuro dei propri sogni, e infine Lu tempu è ventu, romanza sussurrata di un'umanità che scuote la polvere e trova la forza per proseguire senza voltarsi indietro.

"Anime migranti" – spiega Mario Incudine è una riflessione in musica e parole per non dimenticare da dove veniamo e per non assistere ancora una volta al silenzio della memoria. La musica popolare, quella che i nostri nonni hanno portato oltreoceano e quella che ancora vive dentro i racconti di chi è rimasto da questa parte del mare è il filo conduttore di questo viaggio che parte dalla Sicilia: da quest’isola si alza un canto a più voci per raccontare il nostro tempo, un tempo in cui le coste sono teatro di tragedie, di gommoni che non riescono a toccare riva e di mari ormai cimiteri di tanti, indefiniti, morti. Per questo motivo un opera a più voci, perché sia un unico abbraccio, un'unica voce, un'unica bandiera per la pace e l’amore tra i popoli".

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