Qualcuno volò sul nido del cuculo. Elogio della follia

Qualcuno volò sul nido del cuculo. Elogio della follia

Tosi Siragusa

Qualcuno volò sul nido del cuculo. Elogio della follia

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domenica 04 Dicembre 2016 - 09:41

Il riscatto di una vita fra i meandri manicomiali, ove la cattiveria del personale della struttura è pressoché imperante e la Madonna appare una impassibile statua

Il romanzo Qualcuno volò sul nido del cuculo del 1959 di Ken Kesey, scritto dopo aver svolto lavoro di volontariato in un ospedale psichiatrico statunitense, pubblicato nel 1962 e tradotto in italiano nel 1976 da Rizzoli Editore, ha generato l’eccezionale opera filmica, quella leggendaria pellicola del 1975 di Milos Forman, sugli schermi italiani dal marzo 1976, premio Oscar per il miglior film e miglior attore protagonista a Jack Nicholson, negli scomodi panni di Randle Patrick McMurphy, con Louise Fletcher, Danny De Vito, Will Sampson, Brad Dourif e Christopher Lioyd. La sostanza dell’onirico romanzo, scritto in prima persona, è stata depurata e trasformata in allegoria nell’adattamento scenico per Broadway del 1971 di Dale Wasserman.

Lo spettacolo teatrale omonimo, diretto da Alessandro Gassmann, è basato sul riadattamento della drammaturgia di D. Wasserman, nella versione italiana di Giovanni Lombardo Radice, rielaborato da Maurizio De Giovanni, pur senza mai tradire l’originaria forza visionaria, ma spostando la storica collocazione cronologica e geografica: nell’originaria fattura la storia è ricca di slang e memorie anni ’50, di veterani e provincie americane, di country e baseball, mentre la scena qui è temporalmente posposta nel 1982 e trasposta in un ospedale psichiatrico di Aversa, in Campania. La pièce è già stata portata in scena nel 2015 al Teatro Carcano di Milano e al Teatro Bellini di Napoli e nel 2016 al Teatro Coccia di Novara e al Teatro Stabile dell’Umbria, sempre con successo. Il delinquente sfacciato che si finge matto per sfuggire alla galera, in questo spettacolo discetta per così dire in dialetto campano e prende il nome di Dario Danise, in scena, insieme ai compagni di sventura, in un manicomio, ove si intrecciano le amicizie e le tenerezze e asprezze di un mondo di disperati. Alessandro Gassmann ha ideato un originale e personalissimo allestimento, elegante e contemporaneo, prodotto da Fondazione Teatro di Napoli, generando uno spettacolo corale, appassionato, commovente, divertente, con una cifra stilistica elegantemente estetica, ma dirompente per la sua forte carica socio-emotiva, su uno spaccato delle esistenze di pazienti (quelli in stato patologico acuto, quelli cronici, come viene detto, stanno rinchiusi ai piani alti) e del personale della struttura. Il cast è eccezionale ed è composto, oltre che da i protagonisti, validissimi, Daniele Russo e Elisabetta Valgoi, da Mauro Marino, Giacomo Rosselli, Emanuele Maria Basso, Alfredo Angelici, Daniele Marino, Gilberto Gliozzi, Davide Dolores, Antimo Casertano, Gabriele Granito e Giulia Merelli. Le scene sono ben rese da Gianluca Amodio, i costumi contemporanei, con le divise del personale a sottolineare l’appartenenza ad un sistema, sono di Chiara Aversano e le musiche originali, degne di rilievo dei grandi Pivio & Aldo De Scalzi.

È un’esplorazione della follia nei meandri manicomiali, fra mura che appaiono insormontabili e la malattia e la diversità, che generano coercizione con totale privazione delle più elementari libertà, sono protagoniste. Il ribelle anticonformista Dario, avendo compreso subito la condizione alla quale sono sottoposte quelle creature passive e vulnerabili, si farà paladino di una impari lotta contro il sistema crudele e repressivo, attraverso un suo percorso interiore che porrà fine tragicamente alla sua vita, fin lì inconcludente, ma gli consentirà finalmente un riscatto. È quasi una lezione di impegno civile contro quei metodi disumani (che prevedono anche l’utilizzo di elettroshock e lobotomia) che sono volti a piegare e piagare la psiche ed il corpo dei malati. L’opera teatrale è però, prima ancora, metafora del rapporto tra l’individuo e il potere costituito, sul condizionamento dell’uomo che per svariate ragioni versa in una situazione di deminutio, con un potere “contrattuale” depotenziato, da parte di altri esseri “umani”, è un grido di denunzia, che non solo costituisce utile spunto di riflessione critica, ma mira a scuotere le coscienze. Quel nuovo paziente, Dario, che va studiato per determinate se la sua malattia mentale sia reale o simulata, appare da subito spavaldo, irriverente, un ribelle puro, e vorrebbe rintracciare il senso di quelle regole, altrimenti vuote, e con il suo spirito corrosivo riuscirà a scardinare quella piatta rigidità, risvegliando le emozioni e i desideri degli altri pazienti. Belle, infine, le videografie di Marco Schiavoni, che rappresentano le allucinazioni dei c.d. diversi e sottolineano i momento clou, come quella gigantografia finale che ci restituisce il senso di una possibile libertà ritrovata, con un perfetto sottofondo musicale, che diviene esplosivo. In conclusione, unica sbavatura è aver collocato l’azione in un contesto temporale con riferimento ai mondiali 1982, e dunque successivo alla legge Basaglia.

Tosi Siragusa

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