«Io che da morto vi parlo»

«Io che da morto vi parlo»

«Io che da morto vi parlo»

giovedì 19 Novembre 2009 - 08:57

Esce oggi il libro dello scrittore catanese Alfio Caruso, che ricostruisce il caso Parmaliana

Il giorno del suo cinquantesimo compleanno Adolfo Parmaliana stupì tutti i convitati ai suoi festeggiamenti dicendo che lui, ormai, non si considerava più siciliano. Proprio lui che aveva sempre posto gli interessi della sua Terme Vigliatore e della amata Sicilia sopra ogni cosa impegnandosi attivamente – fu segretario della sezione locale dei DS – nella lotta contro la Mafia. Parmaliana moltiplicava gli sforzi per sollecitare i politici – da Fassino a Vendola – e le autorità – scrisse sia al Capo dello Stato che al Papa – evidenziando il “nefasto dominio esercitato dal Partito Unico Siciliano”. Ma infine si arrese, ripose le sue armi di “polite warrior” (dal nome del suo blog) scegliendo di suicidarsi il 2 ottobre 2008, gettandosi dal viadotto di Patti Marina (vedere gli articoli correlati per maggiori approfondimenti).

Io che da morto vi parlo (Longanesi editore; pp. 224; €15), nasce da una telefonata fatta da Cettina Parmaliana allo scrittore catanese Alfio Caruso – autore nel 2000 di Da cosa nasce cosa – che grazie al minuzioso archivio del Professore, divenuto ormai un simbolo, ricostruisce con dovizia di citazioni e stralci di rapporti giudiziari, l’intera, intricata vicenda. E i suoi sviluppi postumi.

Il 2 ottobre Adolfo Parmaliana si toglie la vita. Un gesto che è diretta conseguenza della sua volontà di non considerarsi più siciliano. Proprio lui che credeva che Terme Vigliatore potesse essere un centro di rinascita per la Sicilia: Com’è giunto a questo atto estremo?

«Ce l’hanno portato per mano chiudendolo nell’angolo della disperazione più buia. Lui nella lettera d’addio se la prende con la magistratura barcellonese-messinese, ma anche il suo vecchio partito, i Ds, l’aveva abbandonato».

Come nasce questo libro e perché la vicenda l’ha tanto appassionata?

«Da una telefonata di Cettina Parmaliana una sera di fine gennaio. Mi diceva che dopo una riunione con figli, cognati, suoceri avevano deciso di affidarmi l’archivio del marito. Cettina mi spiegò che suo marito condivideva alcune mie tesi, da qui la scelta della famiglia. Il professore e io non ci conoscevamo, ho però scoperto che lui nei suoi interventi aveva spesso citato due miei libri, Da Cosa nasce Cosa e Perché non possiamo non dirci mafiosi. Da quella sera ho ritenuto un preciso dovere, avvertito anche dalla casa editrice, di fare in modo che le battaglie e gli ideali di Adolfo Parmaliana non andassero perduti».

Parmaliana con il suo attivismo civile e politico, con la fermezza con cui si dichiarava integgerrimo, era inviso a tutti. Persino Piero Fassino, cui spesso si rivolge, lo snobba: Segnale della lontananza della politica o menefreghismo puro e semplice?

«Segnale della difficoltà di conservare la schiena dritta nel nostro Paese, soprattutto in Sicilia, dove il Partito Unico Siciliano pretende sudditi in ginocchio».

Anche la magistratura non esce bene da questa vicenda, una lunga parabola che conduce sino al rinvio a giudizio per diffamazione. Cosa volle dire per lui?

«Che in Sicilia è in svolgimento un grande ballo in maschera. E che a volte si utilizza il proprio ruolo non per difendere i cittadini, ma per angariarli nell’interesse dei potentati d’appartenenza».

La massoneria e il suo eventuale peso sulle sorti della Sicilia, è al centro del suo obiettivo insieme all’associazione culturale “Corda Frates” di Barcellona. Perché?

«La massoneria ha grandi meriti. Senza i massoni non ci sarebbero stati né il Risorgimento né l’Unità d’Italia. Purtroppo con l’istituzione della Repubblica alcuni settori hanno subito una deriva affaristica-delinquenziale. Non ce l’ho per niente con ‘Corda Fratres’. Sono sicuro che il 99 per cento degli iscritti siano galantuomini, certo qualche birichino l’hanno accolto».

Negli Stati Uniti oltre il 90% dei presidenti è dichiaratamente massone, in Italia solo alcune categorie non possono iscriversi, ma persino far parte di quelle ufficiali dà adito a sospetti ingiuriosi. Lei come spiega questo sentimento di ostilità?

«La massoneria è la padrona assoluta di questo Paese. Il sentimento di ostilità è nei confronti dei mascalzoni che si sono iscritti alle logge per meglio delinquere. Basta rifarsi alla storia della mafia dell’ultimo mezzo secolo».

La figura del pm Olindo Canali è preponderante nella fase finale del libro, culminando con la sua lettera-confessione. Lei sottolinea la sua frequentazione con Rugolo jr. ma nel libro non ho trovato tracce del fatto che questi fosse Consulente Tecnico d’Ufficio presso il Tribunale di Messina, dunque seppure di origini scomode doveva godere di certa stima in ambito giudiziario. Non crede che questo fatto getti una luce diversa sulla vicenda?

«Quella lettera rappresenta una tale svolta da aver spinto il Csm a chiedere il trasferimento d’ufficio di Canali. Io non sottolineo alcunché. Ho solo riportato quanto è stato scritto nell’informativa Tsunami dei carabinbieri. E viene dato conto anche dell’incarico pubblico del dottor Rugolo».

Parmaliana con il suo gesto estremo è assurto a simbolo. La sua morte è speranza di cambiamento o definitiva condanna per la nostra terra?

«La Sicilia rimarrà una terra senza speranza finché i siciliani non capiranno di non avere speranze».

Alfio Caruso, nato a Catania nel 1950, è autore di sei romanzi, thriller politici e di mafia: Tutto a posto (1991), I penitenti (1993), Il gioco grande (1994), Affari riservati (1995), L’uomo senza storia (2006), Willy Melodia (2008) e di due saggi di sport con Giovanni Arpino. Presso Salani è apparso Breve storia d’Italia. A Italiani dovete morire sono stati attribuiti il Premio Hemingway e il Premio Acqui Storia.

Il sito www.illume.it, teso a ricordare la figura di Adolfo Parmaliana e le sue battaglie civili, segnala che il libro -Io che da morto vi parlo- è acquistabile nelle librerie online: webster.it; unilibro.it; lafeltrinelli.it; libri.dvd.it; bol.it.

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