Un muro davanti alla Chiesa dei gesuiti per riflettere su accoglienza ed ospitalità

Un muro davanti alla Chiesa dei gesuiti per riflettere su accoglienza ed ospitalità

Redazione

Un muro davanti alla Chiesa dei gesuiti per riflettere su accoglienza ed ospitalità

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venerdì 19 Aprile 2019 - 11:15

Il significato di questa installazione lo spiega l'architetto Renato Arrigo

Nel giorno dei Sepolcri, i fedeli che hanno celebrato il giovedì santo presso la Chiesa di S. Maria della Scala si sono trovati davanti ad un grande e possente muro di mattoni nel quale stato affisso un cartello con su scritto “Chi cercate?”
Il significato di questa installazione lo spiega in una sua riflessione l’architetto Renato Arrigo:
«Accoglienza ed ospitalità.
Siamo realmente accoglienti? Sappiamo essere disinteressatamente ospitali? Sappiamo demolire muri separatori tra noi, posti come barriere con gli altri, in famiglia, nella società?
Il muro di mattoni, alto, spesso, possente, ha sbarrato totalmente l’ingresso della chiesa negando provocatoriamente l’accesso.
Il grande cartello appeso ha insinuato un dubbio su un nostro modello comportamentale.
La scritta sopra riportata ha apostrofato un indirizzo inconsueto al nostro abituale percorso: “Chi cercate?”
Una sorgente di luce retrostante, intangibile poiché volontariamente interclusa tra l’uscio dell’ingresso principale ed il muro, ma comunque sempre percettibile tra gli interstizi residuali dei vari mattoni, si innalza forte come fascio visibile verso il cielo rendendo fortemente luminoso il fronte della chiesa, oltre l’altezza umana del proprio stesso muro.
É la Luce, quella immateriale, inafferrabile, che si protrae sopra ogni nostra umana altezza, sopra il muro stesso, verso l’alto, rischiarando simbolicamente il fronte della chiesa stessa.

É una sorgente che parte dal basso, che si é fatta uomo, che calpesta i nostri stessi consueti passi. É una luce che, pur ergendosi verso il cielo, non ci abbandona mai e che si intravede tra gli interstizi dei mattoni permeando la matericitá del muro stesso messo a barriera, insinuandosi tra gli spazi residuali della nostra caparbietà, rendendosi sempre visibile all’essere umano.
Due filari di candele fioche, poste per terra in prossimità dell’ingresso negato e protette da bocce di cristallo trasparente, indicano una strada alternativa da seguire. É un percorso suggerito da fiammelle rade e sparute, come il nostro cammino disseminato dalla continua discontinuità del nostro viatico.

Questo percorso conduce ad un ingresso secondario, quello intimo, quello che dalla sacrestia porta alla chiesa vera e propria.
É un percorso costellato da fotografie affisse alle pareti che declinano la negazione dell’accoglienza con immagini esemplificative dei vari muri che circondano il nostro essere, nella famiglia, nella società e nell’emarginazione verso gli altri. Sono testimonianze di muri-barriere che nel tempo e nella storia devono rappresentare un monito per quella presente e futura.
Le luci fioche delle candele costellano questo cammino e diventano emanazione luminosa intensa solo dentro, non in un posto qualsiasi, ma sotto la croce, ai piedi del Cristo crocefisso, grazie all’apposizione del fedele, di una piccola candela di speranza, messa espressamente a disposizione. Prendi una candela, accendila e propaga quella piccola fiammella fino a farla diventare, insieme alle altre, forte fascio luminoso di speranza.
Sull’altare un semplice ramoscello di ulivo testimonia una pace interiore raggiungibile. Accanto un’infinità di piccoli pani, contenuti in un cesto a disposizione dei fedeli, vengono distribuiti da un migrante.
L’accoglienza cede il posto all’ospitalità e si esprime con questo esempio inatteso. Momenti di riflessione ci inducono al raccoglimento ed alla preghiera»

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