“Una storia semplice” in scena: potere e omertà nella società siciliana

“Una storia semplice” in scena: potere e omertà nella società siciliana

Tosi Siragusa

“Una storia semplice” in scena: potere e omertà nella società siciliana

lunedì 15 Dicembre 2025 - 09:12

Alla sala Laudamo di Messina la trasposizione del romanzo di Leonardo Sciascia con la regia di Bonaventura Repliche fino al 23 dicembre

MESSINA – Alla Sala Laudamo messinese per la sezione “Disvelamenti” della odierna stagione è stata rappresentata, con prima pomeridiana ieri e repliche successive previste fino al 23 in orari diversi, con la regia di Roberto Zorn Bonaventura, dal noto romanzo breve del 1989 di Leonardo Sciascia, la pièce “Una storia semplice”, assolutamente riferibile anche alla nostra contemporaneità. Una Produzione E.A.R Vittorio Emanuele.
Pur trattandosi di una narrazione corale, ciascun ruolo è stato ben tratteggiato e reso con garbo e maestria dagli interpreti, da Alessio Bonaffini a Ketty Spadaro Malomo, passando per Gabriele Casablanca, Luca D’Arrigo, Gerardo Fiorenzano, Giulia Mondello, Moreno Pio Mondi’, Gianfranco Quero, Damiano Venuto, Angelo Centorrino e Andrea Arena, con la speciale partecipazione di Giovanni Maria Currò.
Anche le assonanti musiche targate anni 80 o risalenti ai pregressi anni 60 (come, a scandire il finale, il famoso “Il mondo” di Jimmi Fontana, intonato da tutto il cast) che  Angelo Galluppi ha eseguito al pianoforte, i consoni costumi di Cinzia Preitano, a caratterizzare anche i differenziati apporti alle indagini in commissariato, e l’illuminazione a bassa frequenza di Stefano Barbagallo, hanno costituito valore aggiunto della complessiva performance.
Dalle note di regia si legge che non trattasi di un giallo, bensì  di una narrazione incentrata su potere, omertà, silenzio e mancanza di volontà delle  istituzioni e delle forze dell’ordine  a perseguire i crimini, con continue rivalità fra carabinieri e  forze di polizia e inadeguatezza del Questore, del Comandante dei carabinieri e del Procuratore ai rispettivi ruoli.
Tutto allora appare sfumato, poco definibile, e il protagonista è risucchiato in una spirale grigia ,e, quando ne esce, la storia “semplice” si è già compiuta.
Lo script è in verità tagliente ,indugia sui particolari, pare secco e brutale in uno, di certo insinuante, con quel sussurro alle nostre coscienze, e quel suo non aprirsi ad alcuna verità rivelatrice.
Il caso insomma  sembra farla da padrone e ciò amplia la consapevolezza che non c’è redenzione, ne’ salvezza e che  anche  le morti dovranno restare  impunite. .
L’onesto brigadiere Antonio Lagandara, in quel di Monterosso, dopo che il Commissario ha ricevuto la strana telefonata di un personaggio conosciuto in ambito diplomatico,  tal Giorgio Roccella, infine tornato nella sua Sicilia ,portando  con sé  misteri, e richiedendo  l’intervento delle autorità per una certa scoperta fatta nella sua villa, vorrebbe intervenire subito, ma è  stoppato  dal superiore che ritiene trattarsi di una burla.
L’indomani però il brigadiere ritrova il cadavere dell’uomo con il capo riverso sulla scrivania , con un’ arma datata accanto  e un biglietto con su scritto “Ho trovato”,  uno scenario di apparente suicidio, che si intreccia però nel prosieguo con la pista del commercio  di sostanze stupefacenti e con il traffico di dipinti,quale il celeberrimo la Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi del Caravaggio, quadro davvero trafugato a Palermo negli anni 60.
Nonostante gli evidenti indizi che deporrebbero per un delitto, e le convinzioni in tal senso del brigadiere, il caso viene chiuso quale morte procuratasi.
Dietro l’apparente banalità di un accadimento si cela la inadeguatezza della intera società siciliana a chiedere e ottenere giustizia. E ciò vale allora come ai nostri tempi, con l’aggravante che il contesto di corruttela, sempre coperto da un velo  omertoso, appare in quest’epoca peggiorato.
Una  prova ,questa, che la direzione attoriale  di impatto di R.Z. Bonaventura ha superato egregiamente, supportata come è stata dalla  convincente resa interpretativa dei personaggi, nonostante le insidie connesse alla nebulosità della trama, di indubbia  onerosa trasposizione teatrale, che ha già generato ottima riuscita del lungometraggio di Emidio Greco, del 1991, con un cast d’eccezione, da Gian Maria Volontè e Massimo Dapporto a Ennio Fantastichini e Ricky Tognazzi, fra gli altri e le musiche di Louis Bacalov.

La Sicilia che finge di non vedere, coprendo le responsabilità dei potenti per dare esemplare segnale, mentre persegue solo i poveri diavoli, ove chi tenta di denunciare è in netta minoranza e messo a tacere e tagliato fuori, finchè per quieto vivere non si adegua al sistema imperante, trova adeguata rappresentazione in questa riduzione del testo sciasciano, che ha saputo cogliere le atmosfere asfissianti e la violenza insita nel potere ingordo, che vuole auto-preservarsi con ogni mezzo, riuscendo a rendere la feroce asciuttezza del romanzo, in uno scenario in cui il potere è vuoto “tout court”, e lo spazio diviene una sorta di zona grigia, ove la luce del silenzio è un abbaglio e la parola non può che generare inciampo.

Applausi convinti a siglare l’epilogo, ove la verità rimane sepolta, per non causare emersione di responsabilità di insospettabili uomini di spicco.

In conclusione, una rappresentazione originale, con tratti innovativi, come la presenza del cast degli operatori della caserma di polizia locale, già in scena prima dell’incipit, che ha conferito un tocco di naturalezza al contesto, il ruolo svolto a sorpresa da Giovanni Maria Currò, già seduto fra il pubblico, l’ottima recitazione in particolare di Gianfranco Quero, nei panni di un personaggio focale, il Professore Carmelo Franzò, amico del diplomatico, e coinvolto a più riprese per questo in testimonianza ,formalmente rispettato da tutti, che può consentirsi di trattare dall’alto della sua cultura gli spocchiosi paesani e di Alessio Bonaffini ,un perfetto impettito e indisponente Questore, forte con i deboli e debole con i forti.

Infine si segnala la presenza di figura femminile, una sorta di “alter ego” del narratore, a scandire i momenti pregnanti e fare da specchio alla condanna morale di una società ove giustizia e integrità sono sovrastati dai poteri criminali, complici le istituzioni, così che l’azione dei pochi che vorrebbero lottare per la verità è annientata da un sistema che anela insabbiare.

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