L’assessore regionale (e professore universitario) Centorrino “sale in cattedra” e risponde all’ex ministro Martino

L’assessore regionale (e professore universitario) Centorrino “sale in cattedra” e risponde all’ex ministro Martino

L’assessore regionale (e professore universitario) Centorrino “sale in cattedra” e risponde all’ex ministro Martino

venerdì 26 Novembre 2010 - 09:54

«Ritengo inaccettabile definire “incapaci e semianalfabeti” quei ricercatori che dopo percorsi di formazione fin troppo lunghi e tortuosi, rappresentano il futuro della nostra accademia»

L’editoriale dell’ex ministro della Difesa, Antonio Martino, incentrato su una critica durissima all’attuale sistema universitario e ai ricercatori messinesi, giudicati « incapaci e semianalfabeti» (vedi articolo correlato), non ha lasciato indifferente l’assessore regionale alla Formazione, che è anche professore ordinario in Economia Politica presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Messina, Mario Centorrino.

Immediata, dunque, la sua replica all’ ex rappresentate di governo e collega. In una nota inviata alla nostra redazione, Centorrino difende il valore e la dignità di quegli studiosi che con impegno e sacrificio, seguendo troppo spesso percorsi tortuosi, producono ricerche che apportano un contributo enorme all’Università italiana e alla società tutta.

L’assessore regionale invita quindi, espressamente i ricercatori a recapitare al professore Martino «i propri libri e i propri scritti, magari per fargli capire come, nella vita e nella carriera universitaria, il momento in cui si giudica non coincida assolutamente con quello in cui si finisce di essere giudicati».

Ecco il testo integrale della replica firmata dall’assessore Centorrino:

«Leggo con enorme stupore un intervento dell’ex ministro Antonio Martino, secondo cui le università, oggi, “servono a dare occupazione a persone altrimenti inoccupabili perché incapaci e semianalfabeti” e, soprattutto, nel quale Martino ricorda una sua visita presso l’Ateneo di Messina con queste parole: “Sono recentemente tornato nella mia Alma Mater, la facoltà di giurisprudenza dell’università di Messina, e degli aspiranti ricercatori che volevano diventare stabilizzati non riuscivano a comporre una frase in italiano che avesse senso compiuto”.

Le affermazioni dell’ex ministro Antonio Martino mi lasciano basito in una duplice veste. Da un lato, quella istituzionale e, dall’altro, quella professionale visto che proprio con Martino ho condiviso parte dei miei studi universitari e, come lui, ho passato quasi tutta la mia vita all’interno dell’università. A differenza dell’ex ministro, tuttavia, non ho lavorato per atenei privati e, essendo ancora in ruolo, probabilmente ritengo di avere in merito allo stato delle università pubbliche un quadro della situazione maggiormente veritiero.

Tralasciando ogni valutazione sulla valenza della riforma Gelmini e ribadendo, comunque, la necessità di dare voce all’interno di un processo democratico a tutte le componenti della scuola e dell’università, piuttosto che cercare corridoi privilegiati per sottrarre il disegno di legge a qualsivoglia forma di dibattito, non posso pertanto astenermi dallo stigmatizzare con la massima fermezza le affermazioni dell’ex ministro. Ritengo inaccettabile, infatti, definire “incapaci e semianalfabeti” quei ricercatori che dopo percorsi di formazione fin troppo lunghi e tortuosi, rappresentano il futuro della nostra accademia. Ma, soprattutto, mi stupisce, perché gratuito nei modi e decisamente mistificatorio nella sostanza, l’attacco riservato agli studiosi messinesi. A quei ragazzi che, per Martino, sarebbero incapaci di “comporre una frase in italiano”, in verità bisognerebbe solo chiedere scusa per delle politiche di governo miopi, che li hanno relegati nel limbo del precariato. Persone le quali, al pari di tantissimi studiosi siciliani, rispetto ad altri colleghi più fortunati autofinanziano la propria formazione, proprio per coltivare il sogno della ricerca. Con sempre meno opportunità di borse di studio e interventi premiali, piuttosto che dare degli asini a questi ragazzi, bisognerebbe solo osservarli in dignitoso silenzio, facendo un mea culpa per ciò che non si è riusciti a fare per loro e pianificando una seria politica di valorizzazione.

Bisognerebbe ricordarsi come, alle loro spalle, ci siano maestri la cui professionalità è riconosciuta in Italia e all’estero. Invece di giudicarli da un fugace incontro, sarebbe meglio leggere ciò che hanno scritto, prodotto. Sentirli parlare delle proprie ricerche, di quegli studi che alimentano una tradizione culturale di cui, come assessore regionale, come docente dell’Università di Messina, nonché in veste di ex studente di quella Facoltà di Giurisprudenza tirata in ballo da Martino, mi onoro di continuare a tenere alte le insegne.

Per questo mi farebbe piacere che proprio i ricercatori citati da Martino gli inviino i propri libri, i propri scritti, lo invitino alle proprie conferenze. Magari per fargli capire come, nella vita e nella carriera universitaria, il momento in cui si giudica non coincida assolutamente con quello in cui si finisce di essere giudicati».

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