L'opinione - Pugni in sala parto e malasanità

L’opinione – Pugni in sala parto e malasanità

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martedì 07 Settembre 2010 - 09:10

Come l’arroganza della casta medica rende difficile l’accesso alle cure

Nella propria esistenza di errori se ne commettono tanti, ma se è vero – come tante volte ci è stato detto – che sbagliando si impara allora anche l’errore può rappresentare una risorsa. Ovviamente se affrontato in modo corretto. L’errore, dunque, è sempre in agguato e sbagliare è umano, quel che invece è inammissibile è una condizione di perseveranza nel e dell’errore. Non porre rimedi, a esempio, alle storture rappresentate dai meccanismi della burocrazia o, peggio ancora, alla gestione dei servizi dedicati alla persona è quanto di più diabolico possa esistere in quanto trattasi di dinamica che trasforma i cittadini in sudditi.

Accade così che a Messina – città che appare sempre più fatta di sudditi che non di persone – una puerpera in preda agli atroci dolori del parto debba sopportare impotente il litigio di due ginecologi che, in sala parto, anzichè prestarle subito assistenza preferiscono darsele di santa ragione. I motivi della scazzottata ai più appaiono ancora ignote e a nulla varranno le scuse del ministro Fazio, dell’assessore regionale Russo o le accuse del direttore generale del Policlinico se a queste non seguirà una seria politica di rigore morale, civile e finanziario. La gente vuole risposte concrete e queste risposte non possono che provenire dalle autorità politiche, in particolare nelle persone del presidente della Regione e dell’assessore competente.

Non è tanto importante sapere chi ha sbagliato, quanto capire come è possibile porre rimedi a una situazione che da anni e anni penalizza i cittadini e con essi un’intera città. Purtroppo il timore che della scazzottata tra i due medici ci si dimentichi troppo presto è tutt’altro che infondato, perché essa in fondo è figlia dei mali della sanità italiana e siciliana in particolare. Mali che hanno a che fare con l’incredibile ricorso della quasi totalità delle donne in gravidanza al ginecologo privato, quando queste stesse donne dispongono del medico di fiducia, delle equipe del medico di fiducia e dell’equipe ostetrico-ginecologiche di consultori e ospedali; con la commistione di pubblico e privato nella cosiddetta attività intra moenia; con la scandalosa proporzione italiana di parti cesarei, soltanto perché questi consentono lucro a Asl e a medici pubblici e privati (naturalmente chi ha partorito col cesareo ha bisogno di più visite, controlli e consumi medico – sanitari post parto). Se poi ai mali appena menzionati aggiungiamo un po’ di assistenzialismo indiretto rappresentato dall’assegno per la collaborazione ad attività di ricerca di cui si avvaleva uno degli scazzottanti (che di regola apporta ben poca ricerca ma consente al medico di provare a lanciarsi nell’attività privata giovandosi di quello stesso titolo), che l’accesso alla dirigenza dei servizi ospedalieri avviene esclusivamente per anzianità o, nella fattispecie di Messina, per cooptazione massonica e dunque senza bisogno di dimostrare alcun merito, ci si rende ben presto conto che quasi tutte le innumerevoli inefficienze pubbliche legate al comparto sanità hanno origine nella sconfortante pochezza di una bella fetta di dirigenti medici. Di “professoroni”, cioè, dai cognomi altisonanti che però nella pratica quotidiana oltre un po’ di fuffa non riescono a produrre. Col risultato di indurre i cittadini a sperare di non dover mai ricorrere alle prestazioni erogate dalla sanità cittadina e, contemporaneamente, di perpetuare i privilegi di una casta arroccata in un’oasi dorata pagata dalle tasse dei loro “sudditi”.

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