L'opinione. Scuola: “statale” non è sinonimo di pubblica

L’opinione. Scuola: “statale” non è sinonimo di pubblica

L’opinione. Scuola: “statale” non è sinonimo di pubblica

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lunedì 21 Marzo 2011 - 14:34

Senza il sistema delle paritarie lo Stato ogni anno spenderebbe 6.245 milioni di euro in più

Il decimo numero di Vanity Fair riportava un curioso sondaggio sulla scuola, richiamato in copertina. Commissionato all’Ipsos sull’onda delle dichiarazioni del premier, il quale riferendosi ai docenti delle scuole statali aveva detto che «inculcano valori diversi dalla famiglia», al campione preso in esame dal sondaggio sono state poste due domande. La prima: “A proposito di scuola, se dovesse esprimere un giudizio sull’operato degli insegnanti, per ognuno dei seguenti aspetti: Obiettività nell’insegnamento, Competenza e preparazione, Dialogo e disponibilità con gli studenti, Dialogo e disponibilità con i genitori, che voto darebbe?”; la seconda: “Se potesse scegliere liberamente e senza problemi di disponibilità economica, oggi per i suoi figli scegliere una scuola…”. Conclusioni: “Nel complesso, gli insegnanti sono molto apprezzati per il lavoro svolto, sia da chi ha figli in età scolare, sia da chi non ne ha. […] Questo non significa che tutto va bene, significa però constatare che la scuola pubblica regge la sfida educativa (sic!, nda) a lei affidata: potessero anche disporre di tutte le risorse economiche necessarie per scegliere liberamente, il 72% degli Italiani sceglierebbe comunque la scuola pubblica per assicurare la migliore educazione ai propri figli”.

Ora, avanzare dubbi sulla veridicità del sondaggio Ipsos non sarebbe corretto, però i risultati che esso evidenzia non spiegano perché la tanto evocata «emergenza educativa» sia uno tra i problemi più sentiti dagli Italiani. Dunque è probabile che le risposte degli intervistati siano state pesantemente condizionate dalle parole del presidente del Consiglio. La realtà quotidiana vissuta da genitori con figli in età scolare infatti dice l’esatto contrario del sondaggio e cioè che c’è un alto grado d’insoddisfazione nei confronti della scuola nel suo complesso. I dati della Ipsos inoltre si scontrano con quelli ottenuti da un’altra indagine condotta nelle prime classi di alcune scuole primarie parificate della città di Bologna (città non proprio di centrodestra e di sicuro non contraria alla scuola statale) dove si evidenzia un lieve ma generalizzato incremento delle iscrizioni nelle scuole paritarie cattoliche. Scuole alle quali i genitori si rivolgono – secondo quanto afferma Mirella Lorenzini, dirigente dell’Istituto Farlottine di via della Battaglia – con «il desiderio di trovare una scuola con un progetto educativo chiaro e in linea con i propri valori. A questo scopo sono anche disposti ad accollarsi per cinque anni il sacrificio di una retta che comunque ha una sua incidenza nel bilancio familiare».

Il sondaggio Ipsos e i dati provenienti dalle scuole bolognesi sono lo specchio di un modo di ragionare ipocrita tutto italiano che tende a far coincidere il concetto di “pubblica” con il concetto di “statale”, ma “scuola pubblica” non per forza vuol dire “scuola statale” in quanto “scuola pubblica” sta indicare che può essere frequentata da tutti indistintamente. Un’ipocrisia che allo Stato costa ogni anno, in media, circa 6500 euro in più ad alunno rispetto agli alunni che frequentano le paritarie, per i quali le casse pubbliche spendono appena 866 euro.

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