Le mani del boia si macchiano ancora di sangue

Le mani del boia si macchiano ancora di sangue

Redazione

Le mani del boia si macchiano ancora di sangue

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sabato 02 Agosto 2008 - 08:16

Giovanni Mallone, sindaco di Messina, guida una inutile rivolta.

2/08/1464

Continuano i disordini ai massimi vertici della dirigenza politica messinese. Tutto è iniziato con la necessità di rinnovare il consiglio dei Giurati, al quale è demandato il compito di gestire gli affari cittadini.

La situazione si è complicata ulteriormente con il rifiuto dei nobili di inviare i donativi dovuti al re, Giovanni II d’Aragona, Valencia, Navarra e I di Sicilia, figlio di Ferdinando I d’Aragona e fratello di Alfonso V il Magnanimo.

Dopo l’ultima riunione fallimentare e il rifiuto di programmare un nuovo incontro, il sindaco di Messina, Giovanni Mallone, ha deciso di prendere l’iniziativa.

Cerchiamo di conoscere meglio colui che ha preso a cuore le sorti politiche della città. Il sindaco appartiene ad una rinomata famiglia di notai.

Il nonno, Giovanni, ha ricoperto la carica di Maestro Notaro della Curia dei Maestri Razionali del Regno. Il padre, Cicco, è stato notaio all’interno della nostra amministrazione. Laureatosi in medicina, dopo aver condotto i suoi studi fra Napoli, Roma e Bologna, Mallone ha fatto ritorno in città, dove, mettendo a frutto le proprie brillanti doti, è riuscito ad ascendere alla carica di sindaco.

I disordini scoppiati un anno fa in città, hanno avuto come epilogo il processo intentato nei confronti di Mallone e che è giunto in questi giorni alle battute finali.

Come tutti ricorderanno tutto è iniziato in seguito ai profondi dissapori nati fra i patrizi, in aperta opposizione al re e il fronte popolare, del quale il sindaco è portavoce.

In qualità di sindaco e di rappresentante del proprio schieramento politico, Mallone, accompagnato da Domenico Mollica, Masi Spagnolu, Filippo Duru e da una folla di cittadini infuriati, ha occupato con la forza la sala nella quale si riuniscono i Giurati. Le richieste sono le stesse, la formazione del consiglio e la votazione per l’invio dei donativi al sovrano.

L’azione di forza non ha avuto purtroppo gli esiti sperati, il tentativo rivoluzionario è fallito! Mallone è riuscito a guidare per un solo anno la città, con il riconoscimento del sovrano. Ma la nobiltà cittadina è riuscita a farlo incarcerare, istruendo nei suoi confronti un processo di dubbia legalità.

Le accuse rivoltegli riguardano il tentativo di espulsione dei Giurati e la riunione di un Consiglio in assenza degli stessi. Secondo il privilegio alfonsino del 16 aprile 1440, questi reati prevedono la condanna a morte del reo.

Molte sono le voci levatesi ad infangare il sindaco. Antonio de Lignamine, il dottore Berto Curtaya, Scipione Romano, Matteo Campagna, esponenti della più alta nobiltà, hanno definito unanimamente il sindaco, ladro, scassinatore e complice di ladri.

In più di un’occasione è riecheggiata per i corridoi del tribunale una voce che vorrebbe nei confronti del sindaco una esemplare condanna, a prescindere dalla sua colpevolezza.

L’esito del processo è stato scontato, un giudizio che molti avevano profetizzato ma del quale avremmo fatto a meno: condanna a morte.

L’esecuzione di Giovanni Mallone ha barbaramente messo a tacere una delle poche voci di dissenso.

Non smetteremo mai di abituarci alla bestialità umana, alla mancanza di rispetto per la vita. Inutile sperare che questa morte sia servita a qualcosa. La morte non serve mai, meno che in questa circostanza, dato che già si mormora di un possibile ritorno al passato, con i nobili unici padroni del campo.

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