L'antico gioco romano, chiamato anche "murra" o "mura", è da tempo vietato dal Codice penale: spesso ai "lanci" si accompagnavano infatti giocate in denaro
REGGIO CALABRIA – Da anni, nel cuore di Reggio Calabria, si verifica qualcosa d’incredibile: ragazzi che a un centimetro dalla Prefettura, dal Comune, dalla Città metropolitana giocano a “morra” – l’antica digitis micatio dei Romani, anche detta “murra”, o “mura” – grugnendo urla belluine.
Da anni. Sostanzialmente, senza nessun tipo di contromisura.
Per di più, il gioco della morra è da tempo vietato da due diversi articoli del Codice penale: spesso ai “lanci” si accompagnavano infatti giocate in denaro.
In un post su Facebook, il sindaco Giuseppe Falcomatà stigmatizza adesso il fenomeno, sulle ali di una prima misura (meglio tardi che mai!): «L’altra mattina alcuni di questi ragazzi, dopo l’ennesimo ancestrale “tsaaa” o roba simile, sono stati identificati dalla Polizia municipale».
Ma il nocciolo della questione non è il dato di cronaca spicciola: che la Polizia municipale si sia mossa non può che essere un punto a favore delle Istituzioni, al di là del permissivismo – sbagliato – protrattosi per anni.
Il vero nodo è, come giustamente rileva il primo cittadino, il substrato d’incultura assoluta rilevato da questo stato di cose. Tanto più che la madre di uno di questi ragazzi, chiamata al telefono per segnalarle la situazione, ha risposto: «E quindi? Che problema c’è?»
Naturalmente, il “problema” è che «suo figlio a quest’ora dovrebbe essere a scuola e invece emette urla primordiali per altro “giocando” in un modo da tempo vietato dalla legge».
Il vero problema è che la questione educativa a Reggio è francamente enorme: e, per dirla anche stavolta col sindaco, di questo «siamo tutti responsabili».
Ma è possibile fare ancora qualcosa in questa Italia?