Quartetto Daidalos, peccati di gioventù

Quartetto Daidalos, peccati di gioventù

giovanni francio

Quartetto Daidalos, peccati di gioventù

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mercoledì 01 Febbraio 2017 - 23:05

Un quartetto di musicisti troppo giovani per affrontare due immensi capolavori: prova tra luci e ombre nell'evento proposto dalla Filarmonica Laudamo

La scorsa domenica, per la stagione concertistica della Filarmonica Laudamo si è esibito il Quartetto Daidalos, che ha proposto due grandissimi capolavori del repertorio cameristico del quartetto d’archi: il quartetto in sol maggiore k 387di Wolfgang Amadeus Mozart ed il quartetto in re minore D. 810 La morte e la fanciulla di Franz Schubert.

Il quartetto k 387 (il quattordicesimo di Mozart) è il primo della raccolta di sei quartetti dedicati a Joseph Haydn, spediti a quest’ultimo dal musicista salisburghese nel 1785, accompagnati da una celebre lettera Al mio caro amico Haydn. Mozart era rimasto molto impressionato dai sei quartetti russi, composti da Haydn qualche anno prima, utilizzando il materiale tematico in maniera innovativa rispetto ai precedenti quartetti, con l’elaborazione della forma sonata portata a notevoli risultati. I quartetti di Mozart, però, risultano assolutamente personali, e se la struttura formale è simile a quella dei quartetti del più maturo amico, il linguaggio è arricchito con innumerevoli chiaroscuri, sfumature, ricchezze armoniche, che fanno di questi quartetti dei capolavori assoluti. Il quartetto k 387 al pari degli altri, è frutto, come Mozart stesso scrisse nella lettera, di una lunga e laboriosa fatica. Tuttavia il quartetto sprigiona una naturalezza, una spontaneità, un sommo equilibrio, che la fatica nel comporre, quasi miracolosamente, non si avverte affatto. Il quartetto si compone, come da tradizione, di quattro movimenti: il primo, un tenero e luminoso “Allegro vivace assai”, nella struttura della forma sonata; il secondo, un “Minuetto. Allegretto”, fortemente ritmato; il terzo, uno splendido ”Andante cantabile”, col suo nobile, mistico incedere; infine il quarto movimento “Molto allegro”, in forma di fuga, come spesso anche Haydn soleva concludere i suoi quartetti. Tutti i movimenti appaiono solari, in tutti regna sovrano l’equilibrio, ma in ognuno di essi sono presenti momenti velati da chiaroscuri, tipici ed inimitabili, “Zone adombrate dalla dolce malinconia mozartiana” come commenta Paumgartner. La seconda parte del concerto è stata dedicata al celeberrimo quartetto La morte e la fanciulla di Franz Schubert. Si tratta del quattordicesimo quartetto scritto dal musicista austriaco, e deve il suo nome al Lied omonimo Der Tod und das Madchen D 531, il cui materiale tematico impernia tutti i quattro movimenti del capolavoro, in particolare il secondo, cinque variazioni basate sul tema del celebre lied. L’impronta del quartetto è estremamente tragica in tutti i movimenti, Schubert fa i conti con il sentimento estremo della morte, e la sua musica raggiunge vette insuperate nella storia della musica per questo organico, degna di stare accanto anche agli ultimi quartetti di Beethoven, quasi coevi. Già l’apertura del primo movimento ”Allegro”, cinque note in fortissimo all’unisono nella tonalità minore del brano, un attacco angoscioso ed indimenticabile, ci introduce in un vortice di ritmi concitati e inquieti. Il secondo movimento “Andante con moto” consiste in cinque variazioni sul famoso tema del lied, tema che ha quasi l’andamento di una marcia funebre. Le variazioni, tutte in tonalità minore tranne la quarta, raggiungono momenti di tale intensità e commozione, da rappresentare forse il più alto esempio di variazioni nella musica di Schubert. Dopo lo “Scherzo”, breve ma intenso, anch’esso dal tono drammatico, l’ultimo movimento “Presto”, è stato definito da alcuni una tarantella tragica, un sorta di danza macabra, che ci trascina nell’abisso.

I musicisti che compongono il Quartetto Daidalos – Anna Molinari, Stefano Raccagni (violini), Lorenzo Lombardo (viola), Lucia Molinari (violoncello) – sono da più di un anno i più giovani membri di un quartetto d’archi fra gli allievi del celebre Quartetto di Cremona. Troppo giovani. Se è apprezzabile il coraggio di questi musicisti in erba di affrontare due mostri sacri della storia del quartetto d’archi come i quartetti sopra descritti, tuttavia sarebbe stato forse più saggio esibirsi eseguendo brani più abbordabili. Troppo impegnativi, sia sotto il profilo tecnico che interpretativo, i brani scelti, che hanno messo a nudo tutte le imperfezioni che inevitabilmente un quartetto così giovane non può ancora aver superato. La mancanza di unitarietà negli unisono, varie incertezze, l’impressione complessiva di un’esecuzione scolastica e insicura, durante la quale sono stati troppi i momenti nei quali si avvertiva che i musicisti suonavano qualcosa “più grande di loro”. Anche le eccessivamente lunghe pause fra un movimento e l’altro hanno denotato una certa insicurezza. Non ce ne vogliano, avranno modo e tempo di migliorare, visti i grandissimi maestri dei quali sono allievi.

Giovanni Franciò

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