Missione Kenya: cosa abbiamo visto in 15 giorni a Kasue

Missione Kenya: cosa abbiamo visto in 15 giorni a Kasue

Gabriele Quattrocchi

Missione Kenya: cosa abbiamo visto in 15 giorni a Kasue

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sabato 10 Settembre 2016 - 22:19

Da circa quattro anni Missione Kenya è il ponte di solidarietà che unisce Messina a Kasue. L’organizzazione non profit, grazie alla generosità dei messinesi e alla passione dei suoi volontari, è riuscita a dare una speranza a 3000 persone, che vivono in un piccolo villaggio nel cuore dell’Africa, e per i quali un piccolo gesto di aiuto significa sopravvivenza.

«Sono stati 15 giorni molto intensi. La situazione a Kasue è molto impegnativa». Leone Albanese è un medico, un chirurgo palermitano. Adesso è anche un nome, un volto, un punto di riferimento per gli abitanti di Kasue, un piccolo villaggio del Kenya, poco distante dalla capitale, Nairobi.

«In quei giorni, ho visitato circa 270 persone, con le patologie più disparate, dall’Aids ai vermi intestinali, al diabete». Da tempo vicino al mondo del volontariato, ad agosto Leone ha deciso di partire. È stata sua figlia, studentessa universitaria, a spingerlo verso il cuore dell’Africa e di Missione Kenya, la Onlus messinese avviata dal Centro Cristiano Efraim di Minissale che dal 2012 si spende per lo sviluppo di Kasue e il benessere della sua popolazione.

«La maggior parte degli adulti non conosce la propria età e non aveva mai visto un medico», racconta Leone. «Ricordo l’immobilizzazione di una frattura di polso con del legno donatomi dai muratori». La marginalizzazione, l’esclusione sociale e la distanza dagli ospedali rendono ardue anche le medicazioni più semplici. Uno stato di continua emergenza per un europeo, la normalità per gli autoctoni. «Sicuramente ritornerò al più presto per dare la mia opera a persone che non hanno nulla, figuriamoci l’assistenza sanitaria. Ritornerà anche mia figlia, indispensabile assistente».

La messinese Ida Godano è partita come volontaria insieme al medico palermitano. 54 anni, informatore medico, Ida Godano fa parte del team di Missione Kenya. È invisibile, immediato, profondo, il più forte legame umano, quello che unisce Ida al volontariato. Ida ha una promessa da mantenere e questo viaggio in Africa lo dedica a suo figlio Antonio, vittima nel 2009 di un incidente stradale.

«La situazione a Kasue è disperata», commenta la professionista messinese. «Manca tutto, dal cibo ai più elementari strumenti sanitari. Difficile stilare una lista di priorità, impossibile dimenticare ciò che ho visto». Bambini costretti a macinare chilometri con scarpe dalle suole talmente logore da lasciare al nudo tallone il compito di avere il primo contatto con la terra rovente. Ida Godano ha condiviso con Leone Albanese e gli altri volontari gli spazi e i tempi degli abitanti di Kasue, distribuendo loro piccoli doni e generi di prima necessità e avviando corsi di alfabetizzazione. «Ho già un nuovo progetto che spero di poter realizzare quando tornerò in Kenya», rivela Ida. «Voglio organizzare un corso per la preparazione del pane, seguendo le nostre ricette e tradizioni. Lì, quando la dispensa è piena, si fa per dire, si mangia pane bianco di scarsa qualità, riso e legumi. I più abbienti possono permettersi l’uovo. L’introduzione di un nuovo genere di pane potrebbe portare dei benefici. Si potrebbe venderlo nei mercati più vicini».

Da circa quattro anni Missione Kenya è il ponte di solidarietà che unisce Messina a Kasue. Già l’anno scorso, dopo l’apertura del pozzo con una portata d’acqua di 18 m3/h, i volontari hanno toccato con mano il valore dei propri sforzi. Fino ad allora, i bambini del villaggio dovevano percorrere chilometri per raggiungere l’unico punto di approvvigionamento idrico, cioè i pozzi a cielo aperto. Il prossimo obiettivo, la realizzazione di una clinica ostetrica e pediatrica, si avvicina. Il 26 febbraio è stata posata la prima pietra.

«Laggiù le madri partoriscono in condizioni estreme, senza alcun tipo di assistenza sanitaria», spiega Umberto Silipigni, responsabile della Missione, che ricorda con soddisfazione i risultati già raggiunti. Oltre al pozzo, l’acquisto del terreno per la realizzazione di una struttura polifunzionale e l’adozione a distanza di 70 bambini. Con un piccolo contributo mensile, il Centro Cristiano Efraim garantisce a ogni bambino tre pasti giornalieri e l’iscrizione a scuola. «Missione Kenya ha già fatto tanto», aggiunge Silipigni, «ma mancano ancora le risorse per completare orfanotrofio e clinica».

Animata dalla forza del Pastore Tindaro Smeraldi, l’organizzazione non profit, grazie alla generosità dei messinesi e alla passione dei suoi volontari, è riuscita a dare una speranza a 3000 persone, che vivono in un piccolo villaggio nel cuore dell’Africa, e per i quali un piccolo gesto di aiuto significa sopravvivenza.

Gabriele Quattrocchi

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