Il degrado ambientale di Capo Peloro: quando la riserva non serve

Il degrado ambientale di Capo Peloro: quando la riserva non serve

Il degrado ambientale di Capo Peloro: quando la riserva non serve

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giovedì 03 Giugno 2010 - 21:40

Uno dei paradisi terrestri più belli del pianeta vive in condizioni di abbandono e degrado: un pugno allo stomaco per chi ama l'ambiente e la natura o anche per chi, semplicemente, vorrebbe solo un pò di civiltà

Mentre leggo la lettera inviatami da Nicolino, un naturalista di Torre Faro, mi piange il cuore. La tristezza, mentre poi osservo le numerose fotografie che mi ha allegato, diventa straziante sconforto. Nicolino mi scrive in merito alla mia attività giornalistica sul tema della salvaguardia ambientale ed antropica, segnalandomi le condizioni di Capo Peloro con puntuali riflessioni su un territorio che, tra i più belli del mondo per dono di Madre Natura, meriterebbe di essere valorizzato in modo completamente diverso rispetto all’abbandono e al degrado che lo caratterizzao.

Eppure Capo Peloro è oggi una riserva ambientale, un termine e un istituto che Nicolino dichiara -offensivi rispetto alla comunità locale, costretta a vivere in condizioni idenico-ambientali precarie a causa del totale abbandono degli enti competenti-.

Scerbatura, disinfettazione dei canali e bonifica delle acque paludose sono solo alcuni degli interventi citati dal nostro lettore naturalista che andrebbero effettuati ciclicamente, ma che da queste parti non esistono da anni e anni. Nicolino mi chiede se ritengo possibile che nel 2010, in uno Stretto di Messina voglioso di proiettarsi alla ‘conquista’ turistica ed economica del Mediterraneo, sia possibile che all’interno di una così pregiata ‘Riserva Naturale’ esistano solo ratti, serpi e -scurzuni- che allontanano e intimoriscono passanti e visitatori. Mi chiede ancora se mi sembra corretto che i cassonetti dei rifiuti siano assediati da cani randagi che fanno lo slalom in mezzo a vecchi frigoriferi, lavatrici, divani e cucine abbandonate da cittadini poco attenti al bene comune. Senza poi parlare delle varie aiuole piene di erbacce (già secche: tra poco, al primo caldo, qualcuno le manderà in fumo, distruggendo così anche qualche palma secolare e pregiati pini marini).

Certo che no. Non è possibile, non dovrebbe essere possibile. Se non conoscessi la nostra realtà, se non sapessi amaramente come funzionano le cose, quasi stenterei a crederci. Invece è così. In questo fantastico angolo chiamato ‘Stretto di Messina’, nel 2010, è possibile anche questo.

Nicolino mi chiede di sensibilizzare i responsabili di questo scempio ambientale dalle -colonne- di TempoStretto. E’ il minimo che possiamo fare, anche se individuare i responsabili non è semplice e non perchè sono pochi latitanti ben nascosti, quanto invece perchè sono tantissimi e pullulano quotidianamente in mezzo a noi.

Prendersela con il mondo della politica, che ha senza dubbio le proprie gravi colpe, è fin troppo banale, scontato e semplice: con un pò di qualunquismo si spara lì nel mucchio e si hanno proseliti. Ma il Buzzanca o Ricevuto di turno che colpa possono avere delle lavatrici abbandonate in mezzo alla strada o intorno ai cassonetti? Certo il necessario controllo del territorio non guasterebbe anzi è necessario, ma forse, prima di tutto, dovremmo iniziare a guardarci dentro, singolarmente, e riconsiderare determinati stili di vita partendo dal principio che i luoghi pubblici non sono -terra di nessuno-, ma, invece, -bene di tutti- da custodire e tutelare come se fossero casa nostra.

Perchè sono casa nostra.

Lo Stretto è un patrimonio eccezionale che abbiamo avuto in dono e di cui abbbiamo la fortuna di poter usufruire. Ci regala ogni giorno scenari meravigliosi, ci aiuta a vivere a stretto contatto con le meraviglie della natura, ci pregia di colori stupendi, profumi avvolgenti e suoni melodiosi.

Ma sta a noi tutelare questa straordinaria bellezza, preservandola da inquinamenti di vario genere e tipo.

Solo dopo che, in qualità di cittadini avremo la coscienza a posto, potremo scagliarci con veemenza contro quella politica che è inadempiente nelle opere di valorizzazione di una delle aree che andrebbero considerate come fiore all’occhiello della nostra realtà.

Ma finchè in una riserva naturale pullulano vecchie lavatrici e frigoriferi arrugginiti, l’unica cosa da fare è un generale esame di coscienza. Non solo da parte di chi questi atti, illeciti moralmente e penalmente, li compie quotidianamente ma anche e soprattutto da parte di chi ne è indifferente.

Presupposto essenziale affinchè avvenga questa -rivoluzione- culturale, ovviamente, è la consapevolezza delle ricchezze del territorio e l’amore nei loro confronti. Finchè continueremo a non renderci conto dell’inestimabile tesoro naturalistico e ambientale, ma anche storico, epico, scientifico, geologico, artistico, monumentale, architettonico e sociale che appartiene alla città di Messina e a tutto il territorio dello Stretto, continueremo a calpestarlo e maltrattarlo.

Amare lo Stretto significa rispettarlo. Non solo quando bisogna scendere in piazza per dire ‘No’ a un ponte di cui si parla da secoli senza che mai se ne sia vista l’ombra.

Ma, invece, bisogna farlo nella quotidianità di tutti i giorni, a fronte di quel degrado e di quello scempio di cui si avverte il tanfo.

Una vergogna che pesa come un macigno sullo stomaco di chiunque abbia un minimo di sensibilità ambientalistica e naturale ma anche sociale e civile.

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