Un anno di cronaca giudiziaria: lotta ai patrimoni mafiosi, malasanità ed inchieste sull'Università

Un anno di cronaca giudiziaria: lotta ai patrimoni mafiosi, malasanità ed inchieste sull’Università

Un anno di cronaca giudiziaria: lotta ai patrimoni mafiosi, malasanità ed inchieste sull’Università

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venerdì 31 Dicembre 2010 - 13:04

Nel 2010 sono state numerose le confische ed i sequestri di beni ma hanno destato scalpore le inchieste sui presunti casi di malasanità e sull'Università

Lo ha detto e lo ha fatto. Il procuratore capo Guido Lo Forte, appena insediatosi due anni fa alla guida della Procura di Messina, aveva indicato la strada per combattere la criminalità: aggredire i patrimoni dei mafiosi. Il 2010, non per niente, è stato caratterizzato da una lunga serie di sequestri e confische di beni. E la società civile ne raccoglie i frutti sotto tutti gli aspetti. Nelle settimane scorse sono stati assegnati al Comune di Messina ben 13 beni confiscati alla mafia. Purtroppo il 2010 è stato anche l’anno dei tanti casi di malasanità che hanno proiettato Messina sulle prime pagine dei giornali anche internazionali. E ci sono le immancabili inchieste sull’Università, sugli appalti banditi dall’Ateneo, perfino sull’assegnazione delle borse di studio e sull’assenteismo.

L’apertura, come detto, tocca ai sequestri di beni. L’anno si apre con una confisca di mezzo milione di euro, da parte della Polizia, al boss di S.Lucia del Mela, Pietro Nicola Mazzagatti. Un’inezia rispetto ai 18 milioni di euro sequestrati a marzo dai Carabinieri all’imprenditore catanese Alfio Giuseppe Castro. A giugno tocca ad Alessandro Cutè. La Squadra Mobile gli sequestra un patrimonio di 800.000 euro. Per gli investigatori l’uomo è legato al clan di Mangialupi ed opera nel settore dello spaccio di droga.

Ma il sequestro dell’anno è sicuramente quello eseguito dalla DIA ai danni dei fratelli Pellegrino di S.Margherita. Vengono sottratti beni per 50 milioni di euro compresi gli impianti nelle quali producono calcestruzzo che rivendono a quasi tutte le imprese che lavorano nella sud della città. Secondo l’accusa i fratelli Pellegrino utilizzerebbero cemento impoverito che sarebbe stato impiegato per realizzare opere pubbliche ma anche edifici privati. Ancora in materia di sequestri di beni va segnalato quello da 20 milioni di euro compiuto dalla Squadra Mobile a settembre ai fratelli Trovato, boss del clan di Mangialupi. Una ricchezza che, secondo gli inquirenti, sarebbe stata accumulata grazie soprattutto allo spaccio di sostanze stupefacenti acquistate nella piana di Gioia Tauro e rivendute a Messina. Ultimo colpo dell’anno quello inferto a novembre dai Carabinieri all’imprenditore di Milazzo, Vincenzo Pergolizzi. 25 milioni di euro il patrimonio sequestrato dai Militari.

Il 2010 ha fatto registrare anche alcune importanti sentenze in processi di mafia o in cui erano contestati reati più gravi come l’omicidio. Clamorosa la sentenza dell’operazione antimafia Mattanza con la quale vengono condannati all’ergastolo i boss Gaetano Barbera, Marcello D’Arrigo, Nunzio Ferrante, Giovanni Lo Duca e Daniele Santovito. Avrebbero tentato di ricostituire i clan di Giostra e della zona sud, facendo partire dal carcere gli ordini per lo spaccio di droga, le estorsioni ma anche per l’eliminazione dei boss avversari. A marzo Francesco Comandè viene condannato al carcere a vita per l’omicidio dei fratelli Paolo e Carmelo Giacalone, assassinati a colpi di pistola l’11 aprile 2006 mentre stavano ristrutturando il loro bar a largo Seggiola. Secondo quanto emerso dalle indagini Comandè decise di eliminare il cugino Paolo Giacalone per alcuni rancori personali. Quest’ultimo non avrebbe preso le difese di Comandè dopo una dura lite con alcuni esponenti del clan di Giostra. il fratello Carmelo fu ucciso per eliminare un testimone. Chi riesce ad evitare l’ergastolo è invece Francesco Cuscinà, accusato dell’omicidio del boss di Giostra, Letterio Rizzo assassinato il 23 febbraio del 1991. Il PM Giuseppe Verzera, che aveva riaperto il caso, aveva chiesto per Cuscinà il carcere a vita sulla base delle dichiarazioni del killer pentito Nicola Galletta. La Corte d’Assise però lo assolve per non aver commesso il fatto.

Altre condanne per mafia vengono inflitte nell’operazione Case Basse:20 anni a Daniele Santovito, uomo nuovo della zona sud e rivale del padrino storico Giacomo Spartà; 8 anni e 4 mesi al barcellonese Carmelo Vito Foti accusato delle estorsioni e del danneggiamento alla pescheria Caravello di Milazzo. Il 2010 porta a Foti anche il regime di carcere duro. Ancora condanne eccellenti: 10 anni e 4 mesi nell’operazione Ulisse ad Angelo Caliri, esponente di spicco del clan dei barcellonesi; 17 anni ed 8 mesi al padrino tortoriciano Sebastiano Bontempo Scavo nell’operazione Rinascita. Due i processi per omicidio conclusi nel 2010. La Corte d’Assise il 30 aprile condanna a 18 anni, con il rito abbreviato, l’ex carabiniere Giuseppe Anania. Il 29 aprile 2009 uccise sul lungomare di Tono a Milazzo, Stefano Scibilia. I giudici escludono la premeditazione facendo così traballare l’ipotesi del delitto passionale in favore di un omicidio d’impeto maturato a seguito di antichi contrasti fra i due rivali che si erano dati appuntamento per un chiarimento. Sempre la Corte d’Assise il 22 giugno infligge 12 anni di reclusione ad Antonino De Francesco. Era accusato dell’omicidio di Giuseppe Fleri, avvenuto nelle campagne di Fiumedinisi il 4 dicembre 2008. Fra i due da tempo erano sorti forti contrasti perché De Francesco accusava Fleri di sconfinare col gregge nei suoi terreni. L’ennesima lite è sfociata in un’aggressione nel corso della quale l’operaio è stato ucciso con una fucilata.

Nonostante i successi nell’aggressione dei patrimoni mafiosi e i sei ergastoli inflitti per reati di mafia il 2010 sarà indubbiamente ricordato per alcuni casi di presunta malasanità. Messina è stata per mesi al centro di una serie di vicende che hanno interessato l’opinione pubblica nazionale. Il caso più clamoroso quello esploso alla fine dì agosto con la lite fra due ginecologi mentre la signora Laura Salpietro, nel reparto di Ostetricia del Policlinico, sta per partorire il primo figlio. Il piccolo nasce dopo due arresti cardiaci e con delle ischemie cerebrali di cui non si conoscono ancora del tutto le conseguenze. Il padre del piccolo, Matteo Molonia denuncia tutto ai carabinieri. Racconta di una violenta discussione fra il dottor Antonio De Vivo ed il medico di guardia Vincenzo Benedetto. Il primo, un contrattista, non poteva eseguire il parto senza autorizzazione del dottor Benedetto in quel momento responsabile del reparto. Al culmine della discussione De Vivo lancia una sedia contro Benedetto senza colpirlo, poi sferra un pugno contro una vetrata, ferendosi ad una mano. Si perde tempo prezioso finchè il piccolo Antonio viene alla luce fra mille difficoltà. La Procura apre un’inchiesta ed iscrive cinque persone nel registro degli indagati, compresi i due medici. Anche l’azienda sanitaria e l’Ateneo assumono provvedimenti. A De Vivo viene ritirato l’assegno di ricerca, Benedetto ed il direttore dell’Unità operativa di Ostetrica, professor Domenico Granese vengono sospesi. Nei giorni scorsi però Benedetto è stato reintegrato. La lite fra i due medici diventa un caso. A Messina arrivano il Ministro della Salute, Ferruccio Fazio e l’assessore regionale Massimo Russo che dispongono una serie di ispezioni da parte di commissari e carabinieri. In quegli stessi giorni un’altra vicenda simile accade al Papardo. Ivana Riganò chiede di partorire con il taglio cesareo ma le viene negato. Ha un travaglio lunghissimo e quando il piccolo Giosuè Mangraviti viene alla luce subisce tre lesioni cerebrali, una paralisi ostetrica al braccio sinistro, un rene compromesso e problemi al cuore. Il padre, Nicola Mangraviti, presenta una denuncia e la Procura iscrive quattro persone nel registro degli indagati, fra medici e sanitari. Per la sanità messinese sono giorni difficili e proprio a settembre il sostituto procuratore Todaro invia sei avvisi di garanzia per il caso del feto abortito nei bagni del Policlinico da una puerpera. La donna non avrebbe avuto assistenza dai medici obiettori di coscienza.

Se il mondo della sanità è stato il più colpito dalle inchieste giudiziarie non meno attenzionato dalla magistratura è stato quello dell’Università. A novembre il sostituto procuratore Adriana Sciglio invia 18 avvisi di conclusione delle indagini in un’inchiesta a tutto campo sui concorsi interni, sull’assegnazione di borse di studio post dottorato e sull’assenteismo. Indagata eccellente Melitta Grasso, moglie del rettore Francesco Tomasello. Fra le accuse che le vengono mosse quella di essersi assentata in modo ingiustificato dal posto di lavoro al Centro autonomo di spesa “Unime Sport”. La signora Grasso è al centro di un’altra inchiesta, quella sull’appalto del servizio di vigilanza all’interno del Policlinico. Ad ottobre la Procura chiude le indagini inviando il relativo avviso a 21 indagati fra cui la signora Melitta Grasso per la quale è ipotizzato il reato di concussione. Secondo l’accusa “avrebbe indotto l’amministratrice di un’agenzia di vigilanza, aggiudicataria di appalti nell’Azienda Ospedaliera Universitaria, a consegnarle la somma mensile di 20mila euro e a farle periodicamente costosi regali”. Sempre ad ottobre la Procura chiede il rinvio a giudizio per il rettore dell’Università di Messina, Franco Tomasello, la moglie Melitta Grasso, il presidente della Provincia Nanni Ricevuto, l’ex presidente del consiglio comunale, Umberto Bonanno, l’ex direttore sanitario del Policlinico, Giovanni Materia, il docente di Medicina del Lavoro, Carmelo Abbate, il medico del lavoro, Concetto Giorgianni e la ricercatrice Giovanna Spatri per l’inchiesta sul concorso all’Istituto di Medicina del Lavoro del Policlinico. Secondo l’accusa uno dei posti doveva essere assegnato a Bonanno grazie all’interessamento del rettore, della moglie Grasso e di Materia.

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