Come il Covid nel 2020: la peste del marzo 1743 a Ficarra

Come il Covid nel 2020: la peste del marzo 1743 a Ficarra

Vittorio Tumeo

Come il Covid nel 2020: la peste del marzo 1743 a Ficarra

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domenica 12 Giugno 2022 - 08:00

Anche all’epoca un lockdown e un via libera nel giro di pochi mesi

Come nel marzo del 2020 con il Covid, la Sicilia visse lo stesso dramma nel marzo del 1743 con la peste: una pericolosa epidemia, responsabile di numerosissime morti e di gravi sofferenze economiche interessò l’Isola in modo così pregnante da restare, quell’anno, una data albo signanda lapillo, identificativa per gli storici e i cultori di storia patria, di un vero e proprio annus horribilis, quale è stato per noi il 2020. Se ancora, a distanza di due anni, l’epidemia da Covid-19 continua a esistere, senza tuttavia portare con sé la forza venefica e mortifera che le era propria fino a due anni fa, la peste iniziò a Messina nel marzo 1743 e terminò nella primavera dell’anno successivo. Sebbene, a differenza del Covid, quella settecentesca non fu una vera e propria pandemia, ma ebbe una diffusione a macchia di leopardo. A Messina, come a Marsiglia, responsabili della peste sono stati alcuni marinai provenienti dal Levante, come riporta Costanza (La devozione religiosa messinese e la peste del 1743, Messina 1999). Il morbo, che provocò l’arresto della vita economica e commerciale della città, si diffuse durante il regno di Carlo III di Borbone, il quale tentò di dare nuovo impulso al commercio della città con l’istituzione del c.d. porto franco, privilegio di cui Messina non godeva più, avendolo perduto in seguito alla rivolta antispagnola. Ad oggi non si conoscono dati che consentano di inquadrare nel dettaglio quale fu il ruolo effettivo di Ficarra nell’ambito dell’epidemia di peste del 1743.

Sappiamo però che il paese nebroideo ne fu sfiorato, come si apprende da una relazione coeva compilata dal cronista e annalista Francesco Testa. Sull’attendibilità di questa fonte lo stesso Costanza scrive che “le opere a stampa sono fonti importanti, soprattutto se scritte da cronisti testimoni oculari dell’evento. I cronisti del tempo furono storici ed eruditi e sono in genere abbastanza attendibili. Essi sono: Diego Saverio Piccolo, Orazio Turriano, Enea Melani, Francesco testa, Pietro La Placa” (Fonti per lo studio della peste di Messina del 1743, Messina 1993). Un conforto importante, contare su una fonte sicura quando si tenta di esplorare le fitte trame del vissuto storico di una comunità. Corre un brivido leggendo la cronaca del contagio dell’epoca se rapportata alla recente epidemia da Covid-19. Un’iniziale paura agli inizi di marzo dovuta alla presenza nella provincia di infetti scappati dalla città dello Stretto e rifugiatisi nei paesi, fece scattare anche per Ficarra la misura della quarantena. Scrive il Testa nella sua Relazione istorica della peste che attaccossi a Messina nell’anno mille settecento quarantatre, coll’aggiunta degli ordini, editti, istruzioni e altri atti pubblici fatti in occasione della medesima (Palermo 1745), che “erasi frattanto il male diffuso e ne’ borghi, e nel contado, e ne’ Casali per la libera comunicazione, che si avea tra essi, e la Città. Onde vie più cresceva il timore delle vicine Terre, e col timore la vigilanza, e la custodia”.

Il pericolo del contagio era reale, e molto avvertito; prosegue infatti l’autore affermando che non pertanto non era senza dubbio, e pericolo la salute del Regno; perché tuttora li scoprivano nuovi luoghi, dov’eran state ammesse a libera pratica persone uscite di Messina dopo il discoprimento del contagio. Onde furono necessitati il Principe di Resuttano, e il Principe di Malvagna di aggiugnere al numero delle Città, e Terre sospette, Patti, Salvatore, Piraino, Ficarra, San Marco, Capri, Longi, e Montalbano. Per fortuna l’allarme andò via via scemando nei mesi a seguire, vuoi per l’arrivo della bella stagione, vuoi per gli effetti delle misure messe in campo. Essendosi da una parte avanzata la cruda stagione, e dall’altra essendo venuti meno i sospetti delle navi infette, (si) ridusse la contumacia delle parti Occidentali a giorni quattordici, e a giorni sette quella dell’Isole adjacenti, e della riviera, che si frappone tra Milazzo, e Capo d’Orlando; lasciando, che si ammettessero liberamente le barche, che sciogliessero dall’altre marine del Regno. I ficarresi, e con loro gli altri abitanti dei paesi vicini, poterono allora tornare alla libertà nell’estate dello stesso anno, come si evince da un ordine del vicerè Corsini del 6 agosto 1743. Ecco uno stralcio del contenuto del raro documento: “Finalmente facciamo a tutti palese, che godendosi una perfetta sanità in tutte le Città, e luoghi abitati di questo Regno, che restano fuori il Cordone, che circonda tutto il costretto, e distretto di Messina disposto dalli tre Ill. Vicarj Generali residenti in Milazzo, Noara, e Taormina, ed essendo state da loro liberate con nostra approvazione quelle Città, e Terre, alle quali si era sospeso il commercio, perché inavvedutamente avevano trattato con qualche persona sospetta fuggita da Messina fin dalla prima scoperta del contagio; ed avendo fatto procedere le più rigide cautele della quarantena, ed esamina dello stato della sanità d’ognuna delle suddette Città, e Terre, sono state (…) restituite a libera pratica (…) dall’Ill.Vicario Generale Principe di Malvagna, la Città di Patti, e le Terre di Naso, S. Marco, Capri, Salvatore, Ficarra, Piraino e Longi; onde si è stimato avvisare tutte l’altre Città, Terre, e Luoghi abitati del Regno, affinchè ammettano a libera pratica le descritte Università, e trattino liberamente co’ loro Cittadini, ed abitanti, e con qualunque procedente da detti luoghi, ogni qualvolta fosse premunito delle solite bollette, e requisiti a tenore delle nostre precedenti disposizioni”. Una testimonianza, quella appena esaminata, che sorprende circa la veridicità dell’adagio sulla periodica verificazione dei proverbiali “corsi e ricorsi storici” e sollecita una riflessione: tale ciclicità non interessa solo gli eventi umani, ma non tralascia nemmeno quelli naturali. Ciò che può cambiare, invece, è la capacità di resistenza e resilienza dell’uomo stesso a siffatti avvenimenti.

Vittorio Lorenzo Tumeo

Un commento

  1. vincenzo ricciardi 13 Giugno 2022 17:05

    “albo signanda lapillo dies” si dice dei giorni fausti, non certo dei tempi di pestilenza

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