Non doversi procedere per morte del reo, per Michelangelo Alfano. La conferma della sentenza di primo grado per Carmelo Calafiore. E’ la sentenza emessa stasera dalla corte d’appello per il ferimento del giornalista televisivo Girolamo “Mino- Licordari. L’imputato assente era il boss di Bagheria Michelangelo Alfano, morto suicida nell’ottobre del 2005, considerato la costola di Cosa Nostra in riva allo Stretto.
Per lui, come chiesto anche dallo stesso pg, la Corte d’appello ha disposto il non doversi procedere appunto. Confermata, invece, la sentenza di primo grado per il correo, Carmelo Calafiore. Il mafioso era stato condannato a 5 anni, nel gennaio 2001.
Condanna comminata anche allo stesso Alfano, chiamato in causa da alcuni pentiti quale mandante dei 4 colpi di pistola che centrarono al petto, la sera del 20 giugno del 1987, il conduttore di un’emittente televisiva locale. Calafiore, uomo del clan di Mario Marchese, sarebbe stato l’esecutore materiale. Ad chiamarli in causa, tra gli altri, il collaboratore di giustizia Carmelo Romeo, che si era auto accusato di aver partecipato all’agguato, proprio insieme a Calafiore, su mandato di Alfano e Cavò. Dei colpi di pistola al giornalista hanno anche riferito altri collaboranti, da Paratore allo stesso Marchese, poi l’ex boss Luigi Sparacio.
Secondo alcuni collaboratori, inoltre, all’indomani dell’agguato, si era verificato un tentativo di tenere fuori dalla vicenda proprio il nome dell’imprenditore di Bagheria, ex presidente del Messina calcio, aggiustando le dichiarazioni dei pentiti. L’episodio è stato così trattato nel processo chiusosi qualche settimana a Catania, sul così detto caso Messina, che ha visto gli ex magistrati Giovanni Lembo e Marcello Mondello condannati per aver favorito l’associazione facente capo proprio ad Alfano.
